Non so se stia sprofondando nel ridicolo o sguazzando nello squallore, ma l'assegnazione del premio Nobel per la Pace a Barack Obama non merita di passare sotto silenzio. Che il premio intitolato al dinamitardo fosse un gingillo di relativo valore lo si era capito da un pezzo, ma che si potesse aggiudicarselo facendo un dolcissimo niente è una sorpresa. Fino ad ora l'unico merito di "Mr. President" è quello di essere il primo presidente di colore degli Stati Uniti (per altro non è nemmeno afroamericano, non avendo nulla a che vedere con gli schiavi delle piantagioni), a parte il fatto che dopo due presidenze repubblicane i democratici avrebbero vinto le elezioni anche se dall'altra parte fosse stato candidato Gesù Cristo, altre motivazioni che gli valgano il premio non riesco proprio a trovarle: in Iraq le truppe americane ci sono e ci resteranno per parecchio ancora, in Afghanistan aumenteranno addirittura; il campo di concentramento di Guantanamo è ancora in funzione, col suo carico di catene "democratiche" e di sopraffazioni; in Palestina i massacri continuano senza rallentamenti e senza che dalla Casa Bianca traspaiano soverchie preoccupazioni. Si sono sprecati in questi mesi gli elogi all'abbronzato presidente USA, profeta del nuovo corso mondiale dopo il demoniaco Bush, ma non mi sembra che qualcuno abbia ricordato che l'attuale amministrazione americana non ha alcuna intenzione di abbandonare la pratica delle extraordinary rendition, in sostanza azioni di arresto e deportazione di individui di cui si "sopetta l'ostilità", azioni per le quali in Italia sono attualmente a giudizio l'ex Direttore del SISMI e diversi agenti speciali italiani ed americani, mentre da parte dei falliti leader della sinistra nostrana si esalta il "modello Obama".
Mi rifiuto di credere che siano bastate le banalità rifilate agli arabi in Egitto tempo addietro e ripetute al mondo intero all'ONU nelle scorse settimane a convincere gli accademici di Svezia, frasi sullo stesso tenore del "damose da fà, volemose bene" di wojtyliana memoria. Come può non risultare sinistramente ridicolo un premio per l'impegno nel costruire la pace ad un personaggio che solo una decina di giorni fa minacciava di bastonare l'Iran a suon di missili? Come può far esultare i pacifisti un capo di stato che definisce il governo cinese "democratico e rispettoso dei diritti umani" e si rifiuta, in nome della ragion di stato, di incontrare il Dalai Lama? La carriera del figlio del donnaiolo kenyota Obama senior procede talmente speditamente che di sicuro nei prossimi dodici mesi vedremo i cartelli "yes we can" e "saint now" campeggiare a piazza San Pietro, laddove il Papa, o magari un prelato africano - se la provvidenza vorrà - annuncerà la chiusura del processo di canonizzazione in vita del buon Obama, cui si eleveranno prontamente cattedrali e cori gospel,...... evviva il mondo! evviva Obama! In attesa di quel momento, cominciamo a preparare le preghiere da scrivere sui santini.