Secondo ricorrenti didascalie di questa foto, ripresa in diversi testi, il personaggio morto o moribondo ritratto nel mezzo sarebbe il brigante Curcio, personaggio che, secondo certe interpretazioni “alternative” degli eventi verificatisi nelle province del sud Italia nel periodo risorgimentale, sarebbe stato nativo di Aversa e si sarebbe opposto in armi alle truppe italiane finendo poi fucilato ed esposto come monito nel 1870. Sulle ali di un male interpretato sentimento di orgoglio meridionalista si sono moltiplicate, negli ultimi anni, le ricostruzioni tendenti distruggere la consolidata storiografia risorgimentale e così, nell’ottica di chi vede garibaldini e piemontesi come una banda di predoni calati a rapinare il ricco meridione, quelli che all’epoca furono chiamati briganti, e che in massima parte furono effettivamente criminali comuni, divengono puntualmente eroici difensori del popolo. Anche ad Aversa ci si è affrettati a scegliersi il proprio “paladino brigantesco” rivendicando l’aversanità di tale Antonio Curcio ed attribuendogli mirabolanti imprese ed fine una gloriosa sulla quale è però il caso di fare piena luce.
In realtà si è trattato di un equivoco generato dalla confusione di nomi e date in cui sono caduti diversi autori, ma è stato sufficiente un controllo presso l’archivio storico fotografico Alinari ed una più attenta lettura delle fonti d’epoca per chiarire l’identità e la provenienza del famigerato brigante. Antonio Giuseppe Jovine, detto “Curcio”, nacque in un luogo imprecisato nelle campagne tra l’acerrano e il nolano in una famiglia di contadini. Intorno al 1860 dopo alcuni furtarelli di ortaggi e frutta in diverse masserie di Acerra si diede alla macchia facendosi arruolare nella banda dei fratelli La Gala, responsabile di rapimenti e rapine tra Nola e le montagne attorno a Cervinara dove i banditi avevano il loro principale rifugio. Dopo un fallito tentativo di alleanza con il più noto e potente capobrigante del meridione, Carmine Crocco, la banda La Gala tenterà di imitarne la tattiche dando l’assalto ad interi municipi e sfidando in campo aperto le truppe governative dalle quali fu ripetutamente battuta finendo per frazionarsi in formazioni più piccole all’inizio del 1862. Fu in questo periodo che Curcio emerse come capo autonomo radunando un piccolo numero di briganti delle bande maggiori e continuando la pratica delle estorsioni, dei furti e dei rapimenti a scopo di riscatto nei dintorni di Acerra, riuscì a sfuggire più volte alla cattura grazie ad una rete di protettori ed informatori, anche all’interno delle forze di polizia, che egli stipendiava regolarmente. Furono propri due suoi ex fiancheggiatori militi della Guardia Nazionale, i fratelli Mugnolo di Acerra, che lo tradirono temendo che l’arresto di un loro parente potesse svelare la loro complicità con i briganti e sperando di incassare la taglia che pendeva su Curcio, il 2 novembre 1864 organizzarono dunque una trappola presso il suo rifugio abituale e lo pugnalarono ripetutamente, quindi, credutolo morto, ne uccisero la compagna Angela Zimaldone e corsero a denunciare l’accaduto per intascare la ricompensa.
Curcio, benché gravemente ferito, sopravvisse il tempo sufficiente per essere arrestato e fotografato vivo da un reparto di bersaglieri e guardie nazionali al comando del Maggiore Annibale Manlio al quale confessa i nomi dei propri complici divenuti suoi assassini che verranno condannati ai lavori forzati nel 1865. Il brigante morirà per le ferite dopo tre giorni di agonia il 5 novembre 1864. Questa è stata la storia di un criminale comune che nulla ebbe di eroico e che, malgrado certe superficiali attribuzioni, nulla ebbe a che vedere con Aversa.
Salvatore de Chiara
bibliografia
- Pasquale Cicchella, Il brigantaggio post-unitario nella campagna acerrana, Artéria Edizioni, 2006
- Giuseppe Viola, I ricordi miei, Acerra 1906
- A.S.C., Fondo processi politici, Tribunale S. Maria Capua Vetere