Mussolini e il cianuro
Mattina del 28 aprile 1945. Casa di Giacomo e Lia De Maria a Bonzanigo di Mezzegra, vicino a Como. Claretta Petacci esce dalla stanza in cui è tenuta prigioniera con Benito Mussolini, chiede a uno dei due partigiani di guardia di poter uscire. L’amante del Duce è indisposta, e ha bisogno di andare in bagno in cortile e di lavarsi. Fuori fa freddo, Claretta mette la pelliccia ed esce, guardata a vista dal partigiano. E’ l’occasione che Mussolini aspettava. Aveva tentato la fuga insieme alla colonna tedesca diretta in Valtellina, e aveva con sé documenti preziosi: in particolare, secondo molti storici, il carteggio scambiato con Winston Churchill in cui il ministro inglese, con la nazione sull’orlo del collasso, avrebbe chiesto all’Italia di entrare in guerra al fianco di Hitler, per poter avere al tavolo della pace un interlocutore più ragionevole di Hitler; promettendo in cambio molti territori francesi. Quelle lettere possono rappresentare la salvezza, per Mussolini, quando sarà il momento di comparire davanti a un tribunale internazionale. Il 27 aprile, però, il duce è stato riconosciuto e catturato dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi, e la borsa gli è stata portata via. A questo punto sa di non avere speranze di salvezza: i partigiani, invece di consegnarlo agli americani, sono determinati a ucciderlo. La sua fucilazione è stata decretata da quattro membri di spicco del Comitato insurrezionale antifascista: Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani.
Mussolini è stanco, sfiduciato. Nella casa colonica, la sera prima, è riuscito a impossessarsi di un coltello da cucina. Non potrebbe servirgli a granché, contro due carcerieri più giovani di lui e armati di mitra. Ma per quello che deve fare è perfetto. Lo infila in bocca, fa saltare due molari dell’arcata superiore destra nei quali ha nascosto una capsula di cianuro. Era stato Hitler in persona a dargliela, a Rastenburg, il 20 luglio 1944, giorno del fallito attentato contro il fuhrer. E gli aveva fatto promettere di non cadere vivo nelle mani del nemico, scelta che faranno molti nazisti, dallo stesso Hitler a Goebbels a Goering, che riuscirà a farsi portare il cianuro all’interno del carcere di Norimberga. Il duce si è fatto impiantare la capsula in un dente finto, probabilmente non pensava di usare il veleno ma ora è contento di averlo. Estrae la capsula. La rompe tra i denti. Claretta si sciacqua come può, usando un catino, quindi lava e strizza le mutandine. Una volta in camera cercherà di stenderle per farle asciugare. Ora le infila nella tasca della pelliccia. Quante congetture si faranno su quelle mutandine scomparse e sul ventre nudo della Petacci a piazzale Loreto, che un prete misericordioso coprirà con la gonna grazie a una spilla da balia. Per esempio si ipotizzerà una tentata violenza da parte dei partigiani, con Mussolini che interviene a difendere l’amante ed è freddato dai colpi di pistola.
Quella mattina invece Claretta rientra in camera, trova Mussolini in preda alle convulsioni. Il duce è in maglia e mutandoni di lana, ha lo sguardo sbarrato, sbava. Il cianuro non ha fatto l’effetto sperato e non lo ha ucciso all’istante, condannandolo a un’agonia più lunga. Claretta urla, i guardiani (Giuseppe Frangi detto Lino e Guglielmo Cantoni, “Sandrino”) vedono i sintomi dell’avvelenamento, capiscono quello che è successo, imprecano. Avevano perquisito il dittatore, non riescono a capire come possa averli beffati. Uno di loro si mette in comunicazione con i capi, forse con Luigi Longo, il braccio destro di Togliatti, spiega che Mussolini si è avvelenato e sta morendo. L’ordine è di ucciderlo. Subito. Deve risultare che lo hanno fucilato loro.
I partigiani spostano Claretta china sul duce, gli sparano. I De Maria si ribellano: <>, urla Lia. Claretta apre la finestra e invoca aiuto, come testimonierà una giovane vicina di casa, Dorina Mazzola. Poi i partigiani trascinano fuori Mussolini così com’è, prendendolo per l’elastico delle mutande, che verrà trovato slabbrato. Il suo corpo è rigido, la testa abbandonata sulla spalla. Altri colpi di mitra finiscono il duce. Anche Claretta viene uccisa.
A distanza di 62 anni, e dopo molte versioni (pare addirittura 19) proposte e poi smentite, la ricostruzione di Alberto Bertotto, studioso perugino, non è più improbabile di altre. E ha il merito di proporre una spiegazione coerente del perché il duce venne colpito all’improvviso, in camera da letto, mentre si trovava in posizione supina e vestito solo della biancheria: due punti fermi, questi, chiariti definitivamente dall’analisi delle foto dei corpi a piazzale Loreto (ci sono i buchi delle pallottole sulla maglietta della salute ma non sui vestiti che vennero fatti indossare dopo a Mussolini, vestiti che non erano i suoi, gli unici che riuscirono a mettergli poiché il rigor mortis era già avanzato).
Bertotto ha raccolto un’“intuizione” dello scrittore genovese Athos Agostini e ha proposto questa ricostruzione in alcuni articoli comparsi di recente su “Rinascita” e da allora ha continuato a indagare negli archivi italiani e americani alla ricerca di conferme,trovando nuovi elementi che pubblicherà nel libro “La morte di Benito Mussolini: una storia da riscrivere” (Paoletti, D’Isidori e Capponi editori, in corso di stampa). Prove decisive a sostegno della sua teoria non ne ha trovate, ma qualche indizio sì. Abbastanza suggestivo perché la storia meriti ulteriori approfondimenti.
A supportare questa ricostruzione è una testimonianza molto importante, quella di Elena Curti, figlia naturale del duce e di Angela Cucciati. All’epoca aveva 23 anni, era con il duce nella colonna fermata dai partigiani e venne imprigionata a Dongo dove restò per circa due settimane. Dopo l’uccisione del padre, ricorda al Secolo XIX che. A quella frase la signora Curti non diede troppo peso, considerandola una bugia forse pietosa, tanto che è in dubbio se a dirgliela fu Ettore Manzi, il carabiniere che indagò poi sull’oro di Dongo, o il giovane partigiano Osvaldo Gobbetti, o lo stesso Urbano Lazzaro “Bill”, l’uomo che arrestò il duce. Di certo uno dei tre, gli unici con cui parlò di quella vicenda. Ma la frase le è tornata in mente quando è stata informata dell’ipotesi avanzata da: <>
C’è poi un altro elemento che la Curti considera importante: <. Anche dal punto di vista psicologico, la Curti trova logica l’ipotesi del suicidio: <>.
Naturalmente la prima e più logica obiezione all’ipotesi è che se Mussolini si fosse avvelenato, dovrebbe essere rimasta qualche traccia del cianuro nel suo corpo. Ma l’autopsia non ne fa cenno. Il cadavere di Mussolini venne esaminato il 30 aprile dal professor Mario Caio Cattabeni. In quei giorni convulsi, spiega Bertotto, può essere successo che il rapporto ufficiale del medico sia stato emendato di alcuni elementi. Assurdo? Se pensiamo a quanto ha retto la messinscena della fucilazione qualche sospetto è lecito averlo. All’esame autoptico, spega il ricercatore, assistette il partigiano “Guido” e impedì che venisse fatta l’autopsia sulla Petacci e che si citassero possibili elementi scomodi. Tutti quelli che non collimavano con la versione “ufficiale”.Così il referto finale non fece menzione dell’ora della morte, né del fatto che a Mussolini mancassero dei denti, né dei due colpi di pistola sparati all’addome (risultano nove colpi, quelli dell’“esecuzione”, invece degli undici di cui si vedono i segni nelle foto, come dimostrarono gli esami fatti dall’Istituto di Medicina legale di Pavia nel maggio 2006). Né vennero fatti esami specifici per ricercare tracce del veleno, ma a dire il vero, non essendoci sospetti, non avrebbe avuto senso farlo.
Per saperne di più bisognerebbe poter esaminare il cervello di Mussolini, cosa che non è più possibile. Ma qualcuno, all’epoca, lo fece. Due pezzi di cervello vennero spediti negli Stati Uniti dove all’epoca si cercavano di trovare, attraverso esami specifici, le ragioni di determinati comportamenti criminali. A esaminare i reperti furono il dottor W. Overholser del Saint Elizabeth di Washington (studio della morfologia cerebrale) e il dottor Webb Haymaker dell’Aip (Army Institute of Pathology, oggi Walter Reed Army Medical Center Institute), sempre di Washington (esami neuroistopatologici). La relazione ufficiale del primo esame non è mai stata resa nota, quella del secondo venne diffusa solamente nel 1966 e vi è scritto che non ci sono tracce di malattie che spieghino il “perché Mussolini si comportò in un certo modo dittatoriale”. In Italia esaminò il cervello del duce l’anatomopatologo P.G. Bianchi, che lo definì “il normalissimo cervello di un sessantenne”. Tuttavia, individuare tracce di un avvelenamento da cianuro non è semplice se non si fanno esami specifici.
Lo storico era giunto apparentemente in un vicolo cieco, quando la testimonianza (anonima) di un’anziana archivista dell’Aip ha appena portato alla luce una coincidenza interessante. Spiega Bertotto: <>. E’ poco per dire che quel foglio volante si riferisse all’autopsia di Mussolini, ma certo la coincidenza di un non militare morto ufficialmente per ferite di arma da fuoco e invece avvelenato nel 1945, oltreoceano, è senza dubbio intrigante. Come l’ordine perentorio di non archiviare il referto, cosa assolutamente anomala.
Il ricordo di una figlia sulla frase di un partigiano, quello di un’archivista su un foglio fantasma, le tante bugie dei testimoni diretti, le ambiguità dell’autopsia non sono certamente sufficienti ad avvalorare questa teoria. Ma possono servire di stimolo a scavare ulteriormente sulla fine di quello che resta uno dei protagonisti della storia del XX secolo.
I denti
Un particolare interessante riguarda i denti mancanti del duce. Spiega Bertotto: <>. La “beffa” del suicidio era molto temuta dagli Alleati, che volevano per i gerarchi fascisti e nazisti un processo esemplare, e a Norimberga le misure di sicurezza erano strettissime. Solo qualche anno fa si è scoperto che Goering riuscì a far entrare il cianuro all’interno di una penna, che un’amica gli fece avere dopo avere sedotto una guardia carceraria un po’ ingenua.Non è un caso che, non appena catturarono Saddam Hussein, gli americani gli abbiano ispezionato la bocca con grande attenzione, per individuare eventuali capsule di veleno. Naturalmente, restiamo nel campo delle suggestive ipotesi: i denti di Mussolini possono essere semplicemente caduti a causa dei calci e dei colpi inferti al suo cadavere a piazzale Loreto. In quel caso però, ribatte Bertotto, Cova avrebbe annotato che i denti erano caduti in seguito a violenze.
La versione ufficiale
Pochi credono ormai alla versione “ufficiale” di Walter Audisio, il colonnello Valerio, che sempre sostenne di avere fucilato il duce davanti al cancello di villa Belmonte, alle quattro e venti del pomeriggio del 28 aprile. Nel tempo altre ipotesi sono emerse: pare che il partigiano Frangi, uno dei carcerieri, dopo la fine della guerra per un certo periodo andò in giro vantandosi di avere ucciso lui il duce, fino a quando qualcuno lo mise a tacere. A detta di molti storici era un elemento difficilmente controllabile, soprannominato “Diavolo rosso”. Di certo non fu l’unico, tra i partigiani che erano entrati in contatto con la colonna del duce a morire di morte violenta: stessa sorte toccò a Luigi Canali (Neri) e Giuseppina Tuissi (Gianna). Si sono ipotizzate rese dei conti legate a rivalità personali, politiche, e alla spartizione dell’oro di Dongo (c’è chi dice addirittura 600 miliardi di lire di allora). Ma anche il segreto sulla vera fine di Mussolini potrebbe essere un movente credibile. Anche ad altri partigiani è stata attribuita la responsabilità dell’esecuzione, in particolare a Michele Moretti (Pietro). Uno dei pochi superstiti, Urbano Lazzaro detto “Bill”, già dieci anni fa sostenne però che Mussolini e la Petacci erano già morti da ore quando avvenne “l’esecuzione”.
La Petacci
Elena Curti, figlia naturale di Mussolini, che ha ricostruito nel libro “Il chiodo a tre punte” (Gianni Iuculano editore) le vicende di quei giorni, non crede alla versione ufficiale neppure per quanto riguarda la fine di Claretta Petacci: <>. Nessuno aveva condannato a morte Claretta, che era l’amante del duce ma non aveva nessuna responsabilità “politica”. Fu eliminata per rabbia, o per mettere a tacere una testimone scomoda? Per coprire l’assassinio si raccontò che la Petacci aveva voluto condividere la sorte di Mussolini, o che si era frapposta tra la raffica e il corpo del duce, ricevendo i colpi mortali.
Strani fantasmi
Alberto Bertotto da anni si occupa della morte del duce, ma a indirizzarlo sull’ipotesi del cianuro è stato Athos Agostini, scrittore genovese. Racconta quest’ultimo che intorno alla metà degli anni Settanta, mentre si trovava in vacanza sul ramo lecchese del lago di Como, ebbe una forte esperienza psichica: gli apparve infatti lo spettro di Mussolini che gli raccontò come erano andate le cose nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945. Agostini ne restò impressionato ma non si preoccupò di verificare il racconto. Che gli tornò in mente solo molti anni dopo, intorno al Duemila, quando durante una trasmissione a tarda sera su Raitre vide un filmato in cui dei medici americani sostenevano che nel cervello di Mussolini erano state rinvenute tracce di cianuro. Nonostante le molte ricerche, né Agostini né Bertotto hanno più ritrovato quel filmato, ma solo un altro testimone che ricorda di averlo visto. E dagli ospedali americani non sono giunte conferme.
Tratto da www.claudiopaglieri.com
Mattina del 28 aprile 1945. Casa di Giacomo e Lia De Maria a Bonzanigo di Mezzegra, vicino a Como. Claretta Petacci esce dalla stanza in cui è tenuta prigioniera con Benito Mussolini, chiede a uno dei due partigiani di guardia di poter uscire. L’amante del Duce è indisposta, e ha bisogno di andare in bagno in cortile e di lavarsi. Fuori fa freddo, Claretta mette la pelliccia ed esce, guardata a vista dal partigiano. E’ l’occasione che Mussolini aspettava. Aveva tentato la fuga insieme alla colonna tedesca diretta in Valtellina, e aveva con sé documenti preziosi: in particolare, secondo molti storici, il carteggio scambiato con Winston Churchill in cui il ministro inglese, con la nazione sull’orlo del collasso, avrebbe chiesto all’Italia di entrare in guerra al fianco di Hitler, per poter avere al tavolo della pace un interlocutore più ragionevole di Hitler; promettendo in cambio molti territori francesi. Quelle lettere possono rappresentare la salvezza, per Mussolini, quando sarà il momento di comparire davanti a un tribunale internazionale. Il 27 aprile, però, il duce è stato riconosciuto e catturato dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi, e la borsa gli è stata portata via. A questo punto sa di non avere speranze di salvezza: i partigiani, invece di consegnarlo agli americani, sono determinati a ucciderlo. La sua fucilazione è stata decretata da quattro membri di spicco del Comitato insurrezionale antifascista: Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani.
Mussolini è stanco, sfiduciato. Nella casa colonica, la sera prima, è riuscito a impossessarsi di un coltello da cucina. Non potrebbe servirgli a granché, contro due carcerieri più giovani di lui e armati di mitra. Ma per quello che deve fare è perfetto. Lo infila in bocca, fa saltare due molari dell’arcata superiore destra nei quali ha nascosto una capsula di cianuro. Era stato Hitler in persona a dargliela, a Rastenburg, il 20 luglio 1944, giorno del fallito attentato contro il fuhrer. E gli aveva fatto promettere di non cadere vivo nelle mani del nemico, scelta che faranno molti nazisti, dallo stesso Hitler a Goebbels a Goering, che riuscirà a farsi portare il cianuro all’interno del carcere di Norimberga. Il duce si è fatto impiantare la capsula in un dente finto, probabilmente non pensava di usare il veleno ma ora è contento di averlo. Estrae la capsula. La rompe tra i denti. Claretta si sciacqua come può, usando un catino, quindi lava e strizza le mutandine. Una volta in camera cercherà di stenderle per farle asciugare. Ora le infila nella tasca della pelliccia. Quante congetture si faranno su quelle mutandine scomparse e sul ventre nudo della Petacci a piazzale Loreto, che un prete misericordioso coprirà con la gonna grazie a una spilla da balia. Per esempio si ipotizzerà una tentata violenza da parte dei partigiani, con Mussolini che interviene a difendere l’amante ed è freddato dai colpi di pistola.
Quella mattina invece Claretta rientra in camera, trova Mussolini in preda alle convulsioni. Il duce è in maglia e mutandoni di lana, ha lo sguardo sbarrato, sbava. Il cianuro non ha fatto l’effetto sperato e non lo ha ucciso all’istante, condannandolo a un’agonia più lunga. Claretta urla, i guardiani (Giuseppe Frangi detto Lino e Guglielmo Cantoni, “Sandrino”) vedono i sintomi dell’avvelenamento, capiscono quello che è successo, imprecano. Avevano perquisito il dittatore, non riescono a capire come possa averli beffati. Uno di loro si mette in comunicazione con i capi, forse con Luigi Longo, il braccio destro di Togliatti, spiega che Mussolini si è avvelenato e sta morendo. L’ordine è di ucciderlo. Subito. Deve risultare che lo hanno fucilato loro.
I partigiani spostano Claretta china sul duce, gli sparano. I De Maria si ribellano: <
A distanza di 62 anni, e dopo molte versioni (pare addirittura 19) proposte e poi smentite, la ricostruzione di Alberto Bertotto, studioso perugino, non è più improbabile di altre. E ha il merito di proporre una spiegazione coerente del perché il duce venne colpito all’improvviso, in camera da letto, mentre si trovava in posizione supina e vestito solo della biancheria: due punti fermi, questi, chiariti definitivamente dall’analisi delle foto dei corpi a piazzale Loreto (ci sono i buchi delle pallottole sulla maglietta della salute ma non sui vestiti che vennero fatti indossare dopo a Mussolini, vestiti che non erano i suoi, gli unici che riuscirono a mettergli poiché il rigor mortis era già avanzato).
Bertotto ha raccolto un’“intuizione” dello scrittore genovese Athos Agostini e ha proposto questa ricostruzione in alcuni articoli comparsi di recente su “Rinascita” e da allora ha continuato a indagare negli archivi italiani e americani alla ricerca di conferme,trovando nuovi elementi che pubblicherà nel libro “La morte di Benito Mussolini: una storia da riscrivere” (Paoletti, D’Isidori e Capponi editori, in corso di stampa). Prove decisive a sostegno della sua teoria non ne ha trovate, ma qualche indizio sì. Abbastanza suggestivo perché la storia meriti ulteriori approfondimenti.
A supportare questa ricostruzione è una testimonianza molto importante, quella di Elena Curti, figlia naturale del duce e di Angela Cucciati. All’epoca aveva 23 anni, era con il duce nella colonna fermata dai partigiani e venne imprigionata a Dongo dove restò per circa due settimane. Dopo l’uccisione del padre, ricorda al Secolo XIX che
C’è poi un altro elemento che la Curti considera importante: <. Anche dal punto di vista psicologico, la Curti trova logica l’ipotesi del suicidio: <
Naturalmente la prima e più logica obiezione all’ipotesi è che se Mussolini si fosse avvelenato, dovrebbe essere rimasta qualche traccia del cianuro nel suo corpo. Ma l’autopsia non ne fa cenno. Il cadavere di Mussolini venne esaminato il 30 aprile dal professor Mario Caio Cattabeni. In quei giorni convulsi, spiega Bertotto, può essere successo che il rapporto ufficiale del medico sia stato emendato di alcuni elementi. Assurdo? Se pensiamo a quanto ha retto la messinscena della fucilazione qualche sospetto è lecito averlo. All’esame autoptico, spega il ricercatore, assistette il partigiano “Guido” e impedì che venisse fatta l’autopsia sulla Petacci e che si citassero possibili elementi scomodi. Tutti quelli che non collimavano con la versione “ufficiale”.Così il referto finale non fece menzione dell’ora della morte, né del fatto che a Mussolini mancassero dei denti, né dei due colpi di pistola sparati all’addome (risultano nove colpi, quelli dell’“esecuzione”, invece degli undici di cui si vedono i segni nelle foto, come dimostrarono gli esami fatti dall’Istituto di Medicina legale di Pavia nel maggio 2006). Né vennero fatti esami specifici per ricercare tracce del veleno, ma a dire il vero, non essendoci sospetti, non avrebbe avuto senso farlo.
Per saperne di più bisognerebbe poter esaminare il cervello di Mussolini, cosa che non è più possibile. Ma qualcuno, all’epoca, lo fece. Due pezzi di cervello vennero spediti negli Stati Uniti dove all’epoca si cercavano di trovare, attraverso esami specifici, le ragioni di determinati comportamenti criminali. A esaminare i reperti furono il dottor W. Overholser del Saint Elizabeth di Washington (studio della morfologia cerebrale) e il dottor Webb Haymaker dell’Aip (Army Institute of Pathology, oggi Walter Reed Army Medical Center Institute), sempre di Washington (esami neuroistopatologici). La relazione ufficiale del primo esame non è mai stata resa nota, quella del secondo venne diffusa solamente nel 1966 e vi è scritto che non ci sono tracce di malattie che spieghino il “perché Mussolini si comportò in un certo modo dittatoriale”. In Italia esaminò il cervello del duce l’anatomopatologo P.G. Bianchi, che lo definì “il normalissimo cervello di un sessantenne”. Tuttavia, individuare tracce di un avvelenamento da cianuro non è semplice se non si fanno esami specifici.
Lo storico era giunto apparentemente in un vicolo cieco, quando la testimonianza (anonima) di un’anziana archivista dell’Aip ha appena portato alla luce una coincidenza interessante. Spiega Bertotto: <
Il ricordo di una figlia sulla frase di un partigiano, quello di un’archivista su un foglio fantasma, le tante bugie dei testimoni diretti, le ambiguità dell’autopsia non sono certamente sufficienti ad avvalorare questa teoria. Ma possono servire di stimolo a scavare ulteriormente sulla fine di quello che resta uno dei protagonisti della storia del XX secolo.
I denti
Un particolare interessante riguarda i denti mancanti del duce. Spiega Bertotto: <
La versione ufficiale
Pochi credono ormai alla versione “ufficiale” di Walter Audisio, il colonnello Valerio, che sempre sostenne di avere fucilato il duce davanti al cancello di villa Belmonte, alle quattro e venti del pomeriggio del 28 aprile. Nel tempo altre ipotesi sono emerse: pare che il partigiano Frangi, uno dei carcerieri, dopo la fine della guerra per un certo periodo andò in giro vantandosi di avere ucciso lui il duce, fino a quando qualcuno lo mise a tacere. A detta di molti storici era un elemento difficilmente controllabile, soprannominato “Diavolo rosso”. Di certo non fu l’unico, tra i partigiani che erano entrati in contatto con la colonna del duce a morire di morte violenta: stessa sorte toccò a Luigi Canali (Neri) e Giuseppina Tuissi (Gianna). Si sono ipotizzate rese dei conti legate a rivalità personali, politiche, e alla spartizione dell’oro di Dongo (c’è chi dice addirittura 600 miliardi di lire di allora). Ma anche il segreto sulla vera fine di Mussolini potrebbe essere un movente credibile. Anche ad altri partigiani è stata attribuita la responsabilità dell’esecuzione, in particolare a Michele Moretti (Pietro). Uno dei pochi superstiti, Urbano Lazzaro detto “Bill”, già dieci anni fa sostenne però che Mussolini e la Petacci erano già morti da ore quando avvenne “l’esecuzione”.
La Petacci
Elena Curti, figlia naturale di Mussolini, che ha ricostruito nel libro “Il chiodo a tre punte” (Gianni Iuculano editore) le vicende di quei giorni, non crede alla versione ufficiale neppure per quanto riguarda la fine di Claretta Petacci: <
Strani fantasmi
Alberto Bertotto da anni si occupa della morte del duce, ma a indirizzarlo sull’ipotesi del cianuro è stato Athos Agostini, scrittore genovese. Racconta quest’ultimo che intorno alla metà degli anni Settanta, mentre si trovava in vacanza sul ramo lecchese del lago di Como, ebbe una forte esperienza psichica: gli apparve infatti lo spettro di Mussolini che gli raccontò come erano andate le cose nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945. Agostini ne restò impressionato ma non si preoccupò di verificare il racconto. Che gli tornò in mente solo molti anni dopo, intorno al Duemila, quando durante una trasmissione a tarda sera su Raitre vide un filmato in cui dei medici americani sostenevano che nel cervello di Mussolini erano state rinvenute tracce di cianuro. Nonostante le molte ricerche, né Agostini né Bertotto hanno più ritrovato quel filmato, ma solo un altro testimone che ricorda di averlo visto. E dagli ospedali americani non sono giunte conferme.
Tratto da www.claudiopaglieri.com
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