domenica 28 settembre 2014

Un caso di giustizia

 
La condanna di Luigi De Magistris, ex magistrato d’assalto e sindaco “Masaniello” di Napoli, ha scatenato i fedeli osservanti  della religione carceraria a difesa del profeta condannato dai suoi stessi sacerdoti. La sentenza, e fino all’altro ieri le “sentenze della magistratura” avevano un’aura sacrale, è improvvisamente divenuta frutto di un complotto, di giudici collusi, che secondo Giggino sparame ‘mpietto dovrebbero “vergognarsi e dimettersi”, con i poteri che vorrebbero far fuori un “sindaco scomodo”.   
Ora non si spiega per quale motivo quando questi argomenti sono usati da un Berlusconi, un Formigoni o un Cosentino qualunque sarebbero atteggiamenti eversivi mentre se usati dall’ex magistrato De Magistris  siano legittime espressioni di amarezza di un innocente onesto. Dal punto di vista processuale della famigerata Why Not resta ben poco, qualche pesce piccolo condannato mentre la stragrande maggioranza degli imputati risultano assolti o archiviati, gli stessi Prodi e Mastella sono stati prosciolti in corso d’istruttoria e proprio le modalità di acquisizione delle intercettazioni sugli allora premier e ministro della giustizia hanno portato Giggino l’arancione alla condanna. Col suo consulente Gioacchino Genchi, questurino informatico già santificato da Marco Travaglio, De Magistris ha acquisito in modo illegittimo i tabulati telefonici del presidente di alcuni parlamentari  senza chiedere la obbligatoria autorizzazione alla camera alla quale appartenevano, per questo sono stati entrambi condannati a 15 mesi di reclusione. Se le “sentenze si rispettano” allora devono rispettarsi sempre e dunque anche il buon Giggino deve rassegnarsi al fatto d’essere stato condannato , sia pur in primo grado, e di dover sottostare alla sospensione prevista dalla legge Severino  come già capitato ad altri sindaci. L’uso della legalità a giorni alterni è ipocrita, specie da parte di certi professionisti del giustizialismo da bar e dell’anti-mafia-anti-camorra-legalità a tanto al metro. Il reato che De Magistris avrebbe commesso secondo i giudici è peraltro gravissimo, perché come cittadino  mi sento molto più minacciato da un magistrato che impunemente possa entrare nelle vite private calpestando ogni garanzia e abusando del proprio ruolo piuttosto che da un imprenditore che sottrae miliardi al fisco, perché valuto la libertà ben più importante di qualunque tassa. Il sindaco di Napoli, che ha costruito tutte le sue fortune politiche sull’ondata giustizialista, è rimasto travolto da un sistema perverso e schizofrenico qual è la macchina della giustizia italiana, una macchina a cui egli stesso ha dato una forte accelerazione e che ora non può disconoscere senza mettere in crisi la sua stessa identità mediatico-politica. E questo è poi un grande punto troppo spesso ignorato del personaggio, il suo essere politicamente nullo, il suo non rappresentare null’altro che sé stesso, la propria boria, la propria voglia di rivalsa e di affermazione personale, per questo la condanna, al di là di tutto, rischia di distruggere l’identità politica di un individuo privo di substrato ideologico, privo di reali capacità di gestione, come hanno dimostrato questi anni da sindaco, privo di un reale programma che non sia l’autopromozione di sé stesso. Dalle parti di Napoli c’è un termine, poco traducibile in italiano, che descrive alla perfezione il sempre accigliato primo cittadino partenopeo: è nu chiachiello!
Però a De Magistris va riconosciuto, anche se lui non riserverebbe mai lo stesso trattamento ai suoi avversari, il merito di voler resistere, perché deve essere chiaro sempre che le cariche elettive sono affidate e revocate dalla volontà popolare e non possono essere soggette alla tutela giudiziaria.  

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