Il 27 dicembre di un anno fa iniziava l' operazione "Piombo Fuso", violenta aggressione sionista alla Striscia di Gaza, ennesimo crimine di uno stato illegittimo nel colpevole silenzio della comunità internazionale. Un massacro di civili inermi, donne, bambini, operatori sanitari protrattosi per più di venti giorni che ha arrecato danni incalcolabili alle città della Striscia ed alle già provatissime capacità economiche dei suoi abitanti. Ad un anno di distanza il ricordo di quei massacri è sbiadito, anzi, si fa di tutto affinchè scompaia definitivamente, come dimostra il recente intervento normativo del governo britannico volto a realizzare un ennesimo funambolismo giuridico per tenere al riparo dalla giustizia Tipzi Livni, all'epoca ministro degli Esteri di Israele e principale responsabile della mattanza; e invece è bene che l'occidente ricordi, è bene sapere il prezzo pagato dall'umanità alla cupidigia israelitica. Le cifre dell'attacco sono drammatiche: 1366 morti, la stragande maggioranza civili e personale non resistente, oltre 5000 feriti, 50.000 sfollati, circa 3500 case distrutte, un numero elevatissimo e imprecisato di edifici pubblici danneggiati o disrtutti, 1 milione di Kg di bombe sganciato su Gaza e gli altri centri della Striscia, circa 200 feriti morti nelle settimane successive ai bombardamenti per l'impossibilità di portare cure adeguate. La sproporzione delle forze in campo è stata elevatissima, contro nuclei disorganici di truppe appiedate palestinesi non eccedenti le 18.000 unità totali, totalmente privi di artiglieria pesante e mezzi corazzati, con una insufficiente dotazione veicoli, l'esercito israeliano ha schierato circa 200.000 effettivi supportati da colonne corazzate, elicotteri d'assalto e caccia F16 effettuando anche azioni di bombardamento dal mare con la propria flotta da guerra.
La condotta israeliana si è sviluppata in dispregio delle convenzioni internazionali, sia nelle settimane precedenti l'attacco con la sistematica violazione della tregua siglata nel mese di luglio, sia durante l'operazione "Piombo Fuso" con l'uso di ordigni al fosforo bianco ed il cannoneggiamento di installazioni ONU nonchè l'aggressione indiscriminata e deliberata alla popolazione civile.
Una sanguinosa carneficina che lorda le nostre pigre coscienze di europei moderati, che ci addita l'orrore che da cinquant'anni ci ostiniamo a non vedere; i popoli gemono sotto il tallone della tirannide dell'oro, e il grido di dolore dei palestinesi risuona sordo nelle nostre menti.
lunedì 28 dicembre 2009
mercoledì 4 novembre 2009
CIVIUM LIBERTATI PATRIE UNITATI
Il 4 novembre è l'unica data idonea a rappresentare gli italiani tutti ed il loro spirito nazionale. Mentre ancora siamo incancreniti nel celebrare infauste date di divisione (25 aprile, 2 giugno, 8 settembre) con assoluta miopia storica e scarso senso patriottico, il giorno simbolo del trionfo dell'italianità langue nella semi-indifferenza. E' giunto il momento di ripristinare la festività nel giorno della vittoria nella Grande Guerra, guerra di completamento dell'unità e dell'indipendenza nazionale, celebrando finalmente non le idee politiche, non le meschine macchinazioni del potere, ma una sola grande idea: l'ITALIA,
sabato 10 ottobre 2009
....e l'anno prossimo pure Santo!
Non so se stia sprofondando nel ridicolo o sguazzando nello squallore, ma l'assegnazione del premio Nobel per la Pace a Barack Obama non merita di passare sotto silenzio. Che il premio intitolato al dinamitardo fosse un gingillo di relativo valore lo si era capito da un pezzo, ma che si potesse aggiudicarselo facendo un dolcissimo niente è una sorpresa. Fino ad ora l'unico merito di "Mr. President" è quello di essere il primo presidente di colore degli Stati Uniti (per altro non è nemmeno afroamericano, non avendo nulla a che vedere con gli schiavi delle piantagioni), a parte il fatto che dopo due presidenze repubblicane i democratici avrebbero vinto le elezioni anche se dall'altra parte fosse stato candidato Gesù Cristo, altre motivazioni che gli valgano il premio non riesco proprio a trovarle: in Iraq le truppe americane ci sono e ci resteranno per parecchio ancora, in Afghanistan aumenteranno addirittura; il campo di concentramento di Guantanamo è ancora in funzione, col suo carico di catene "democratiche" e di sopraffazioni; in Palestina i massacri continuano senza rallentamenti e senza che dalla Casa Bianca traspaiano soverchie preoccupazioni. Si sono sprecati in questi mesi gli elogi all'abbronzato presidente USA, profeta del nuovo corso mondiale dopo il demoniaco Bush, ma non mi sembra che qualcuno abbia ricordato che l'attuale amministrazione americana non ha alcuna intenzione di abbandonare la pratica delle extraordinary rendition, in sostanza azioni di arresto e deportazione di individui di cui si "sopetta l'ostilità", azioni per le quali in Italia sono attualmente a giudizio l'ex Direttore del SISMI e diversi agenti speciali italiani ed americani, mentre da parte dei falliti leader della sinistra nostrana si esalta il "modello Obama".
Mi rifiuto di credere che siano bastate le banalità rifilate agli arabi in Egitto tempo addietro e ripetute al mondo intero all'ONU nelle scorse settimane a convincere gli accademici di Svezia, frasi sullo stesso tenore del "damose da fà, volemose bene" di wojtyliana memoria. Come può non risultare sinistramente ridicolo un premio per l'impegno nel costruire la pace ad un personaggio che solo una decina di giorni fa minacciava di bastonare l'Iran a suon di missili? Come può far esultare i pacifisti un capo di stato che definisce il governo cinese "democratico e rispettoso dei diritti umani" e si rifiuta, in nome della ragion di stato, di incontrare il Dalai Lama? La carriera del figlio del donnaiolo kenyota Obama senior procede talmente speditamente che di sicuro nei prossimi dodici mesi vedremo i cartelli "yes we can" e "saint now" campeggiare a piazza San Pietro, laddove il Papa, o magari un prelato africano - se la provvidenza vorrà - annuncerà la chiusura del processo di canonizzazione in vita del buon Obama, cui si eleveranno prontamente cattedrali e cori gospel,...... evviva il mondo! evviva Obama! In attesa di quel momento, cominciamo a preparare le preghiere da scrivere sui santini.
mercoledì 23 settembre 2009
HIC MANEBIMUS OPTIME
tratto da http://www.ilpaesefuturo.it/
NAPOLI – Nella notte tra sabato 12 e domenica 13 settembre alcuni membri di “CasaPound Napoli” e dell’associazione Culturale “Stupor Mundi” hanno occupato un ex monastero, in totale stato di abbandono, nel quartiere Materdei, presso la salita San Raffaele. L’occupazione nasce per lanciare un forte segnale al Comune di Napoli, colpevole di aver lasciato in stato d’abbandono questo ed altri edifici con grande potenzialità sociale ed abitativa, e per promuovere la riqualificazione dello stabile che, secondo le intenzioni degli occupanti, da fatiscente struttura in disuso dovrà diventare centro di aggregazione e promozione culturale del quartiere, situato a metà tra la parte bassa della città e la collina del Vomero.
È infatti allo studio la possibilità di organizzare corsi di doposcuola e di informatica gratuiti per la gente del posto. E questo solo per iniziare. Numerosi, infatti, dovrebbero essere i modi di utilizzo della struttura, che fungerà anche da luogo di ritrovo delle associazioni occupanti. Quando i piani superiori dell’ex-convento verranno resi vivibili potranno ospitare la gente del posto senza casa e gli studenti universitari costretti ad affittare camere per seguire i corsi dei loro atenei. Al centro andrà il nome di HMO, dall’acronimo della frase liviana e dannunziana Hic manebimus optime, qui rimarremo ottimamente.
I gruppi di CasaPound e StuporMundi sono i primi della destra radicale ad occupare stabili nella città di Napoli. Ed è anche per questo che la sinistra è insorta, sia a livello istituzionale, con le pressioni all’interno del Comune per sgombrare la struttura, sia a livello di militanza attiva, con l’organizzazione di un presidio antifascista presso la stazione metropolitana dello stesso quartiere, in programma nella giornata di venerdì, volto a scongiurare la presenza di una base razzista ed omofoba nel cuore della città. Ma a dispetto di tutto, gli immigrati indiani che vivono in salita San Raffaele ancora non hanno subito attacchi, né hanno da lamentarsi di alcunché. Inoltre gli abitanti del posto hanno cominciato a simpatizzare per gli occupanti. Forse, tra la dimenticanza e l’indifferenza generale delle Istituzioni, hanno pensato che solo grazie all’azione di forza di questi ragazzi la loro zona possa ricevere benefici.
È infatti allo studio la possibilità di organizzare corsi di doposcuola e di informatica gratuiti per la gente del posto. E questo solo per iniziare. Numerosi, infatti, dovrebbero essere i modi di utilizzo della struttura, che fungerà anche da luogo di ritrovo delle associazioni occupanti. Quando i piani superiori dell’ex-convento verranno resi vivibili potranno ospitare la gente del posto senza casa e gli studenti universitari costretti ad affittare camere per seguire i corsi dei loro atenei. Al centro andrà il nome di HMO, dall’acronimo della frase liviana e dannunziana Hic manebimus optime, qui rimarremo ottimamente.
I gruppi di CasaPound e StuporMundi sono i primi della destra radicale ad occupare stabili nella città di Napoli. Ed è anche per questo che la sinistra è insorta, sia a livello istituzionale, con le pressioni all’interno del Comune per sgombrare la struttura, sia a livello di militanza attiva, con l’organizzazione di un presidio antifascista presso la stazione metropolitana dello stesso quartiere, in programma nella giornata di venerdì, volto a scongiurare la presenza di una base razzista ed omofoba nel cuore della città. Ma a dispetto di tutto, gli immigrati indiani che vivono in salita San Raffaele ancora non hanno subito attacchi, né hanno da lamentarsi di alcunché. Inoltre gli abitanti del posto hanno cominciato a simpatizzare per gli occupanti. Forse, tra la dimenticanza e l’indifferenza generale delle Istituzioni, hanno pensato che solo grazie all’azione di forza di questi ragazzi la loro zona possa ricevere benefici.
lunedì 6 luglio 2009
lunedì 22 giugno 2009
Viabilità?
E' da qualche mese ormai che il piano traffico varato dall'amministrazione Ciaramella è entrato a pieno regime, e gli aversani devono constatare come tali innovazioni abbiamo peggiorato, piuttosto che miglirarla, la situazione esistente. Le modifiche apportate interessano la zona compresa tra il "Parco Coppola", via Vito di Jasi e via Roma, prevedendo il senso unico in via Roma nel tratto anteriore all'arco dell'Annunziata, la modifica dei sensi di marcia in via Botticelli e via Gemito, l'inversione del senso unico in via Belvedere. Queste decisioni vanno ad aggiungersi a qelle prese nel corso del 2008 e che hanno interessato le vie D'Acquisto, Buonarroti, Raffaello Sanzio. Attualmente risulta enormemente difficile raggiungere il centro cittadino dalla zona Aversa-sud, e sembrerebbe che questo sia l'unico obiettivo delle decisioni dell'assessore Della Valle, infatti non ne hanno giovato né i residenti né la situazione-ingorghi, che puntalmente si ripresentano con maggior frequenza di prima. Unico risultato attualmente accertabile è il periplo assurdo che si è costretti a percorrere per raggiungere via di Jasi e viale Kennedy, due fra le principali arterie cittadine, per non parlare di come sia pressochè impossibile spostarsi da Aversa sud all'area nord, verso la stazione ferroviaria, l'ufficio postale centrale e viale della Libertà, al momento è necessario un elicottero per spostarsi in maniera ragionevolmente agevole fra area meridionale e settentrionale della città.
Intanto l'assessore alla viabilità Gino della Valle assicura che il piano traffico sia stato predisposto da esperti qualificati, ed a questo punto verrebbe da porsi qualche domanda: questi "esperti" sono aversani? Hanno mai vissuto ad Aversa? Conoscono le abitudini degli aversani? Probabilmente il piano sarà anche funzionale sulla carta, ma risulta praticamente folle una volta messo in pratica, paralizza mezza città, propone soluzioni sconvolgentemente assurde, dimostra che l'ottusità e l'incompetenza di chi lo ha predisposto. Quello che manca è proprio la viabilità, potrebbe dunque facilmente rinominarsi il cosiddetto "Piano traffico" "Piano Traffico Assicurato", cosa dovranno fare gli aversani per spostarsi in città? Dovranno dotarsi tutti di aeromobili? Credo sia legittimo chiedere, se non un miglioramento delle situazioni esistenti, almeno che gli interventi effettuati non siano peggiorativi.
Intanto l'assessore alla viabilità Gino della Valle assicura che il piano traffico sia stato predisposto da esperti qualificati, ed a questo punto verrebbe da porsi qualche domanda: questi "esperti" sono aversani? Hanno mai vissuto ad Aversa? Conoscono le abitudini degli aversani? Probabilmente il piano sarà anche funzionale sulla carta, ma risulta praticamente folle una volta messo in pratica, paralizza mezza città, propone soluzioni sconvolgentemente assurde, dimostra che l'ottusità e l'incompetenza di chi lo ha predisposto. Quello che manca è proprio la viabilità, potrebbe dunque facilmente rinominarsi il cosiddetto "Piano traffico" "Piano Traffico Assicurato", cosa dovranno fare gli aversani per spostarsi in città? Dovranno dotarsi tutti di aeromobili? Credo sia legittimo chiedere, se non un miglioramento delle situazioni esistenti, almeno che gli interventi effettuati non siano peggiorativi.
mercoledì 20 maggio 2009
Inaugurazione CasaPound-Agro Aversano
Finalmente CasaPound ha la sua "casa" anche nell'Agro. Il gruppo di giovani che anima la comunità militante sul territorio aversano apre finalmente un proprio spazio per dare maggior impulso alle proprie iniziative. CasaPound è presente nell'agro da diversi mesi svolgendo attività di promozione culturale e di sensibilizzazione sociale, offrendo spazi ed occasioni di incontro ai cittadini che vogliano adoperarsi per la propria comunità e per il territorio in cui vivono. E' questo un ulteriore passo in avanti per una fattiva e determinata presenza sul territorio.
mercoledì 29 aprile 2009
29 Aprile
Mussolini e il cianuro
Mattina del 28 aprile 1945. Casa di Giacomo e Lia De Maria a Bonzanigo di Mezzegra, vicino a Como. Claretta Petacci esce dalla stanza in cui è tenuta prigioniera con Benito Mussolini, chiede a uno dei due partigiani di guardia di poter uscire. L’amante del Duce è indisposta, e ha bisogno di andare in bagno in cortile e di lavarsi. Fuori fa freddo, Claretta mette la pelliccia ed esce, guardata a vista dal partigiano. E’ l’occasione che Mussolini aspettava. Aveva tentato la fuga insieme alla colonna tedesca diretta in Valtellina, e aveva con sé documenti preziosi: in particolare, secondo molti storici, il carteggio scambiato con Winston Churchill in cui il ministro inglese, con la nazione sull’orlo del collasso, avrebbe chiesto all’Italia di entrare in guerra al fianco di Hitler, per poter avere al tavolo della pace un interlocutore più ragionevole di Hitler; promettendo in cambio molti territori francesi. Quelle lettere possono rappresentare la salvezza, per Mussolini, quando sarà il momento di comparire davanti a un tribunale internazionale. Il 27 aprile, però, il duce è stato riconosciuto e catturato dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi, e la borsa gli è stata portata via. A questo punto sa di non avere speranze di salvezza: i partigiani, invece di consegnarlo agli americani, sono determinati a ucciderlo. La sua fucilazione è stata decretata da quattro membri di spicco del Comitato insurrezionale antifascista: Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani.
Mussolini è stanco, sfiduciato. Nella casa colonica, la sera prima, è riuscito a impossessarsi di un coltello da cucina. Non potrebbe servirgli a granché, contro due carcerieri più giovani di lui e armati di mitra. Ma per quello che deve fare è perfetto. Lo infila in bocca, fa saltare due molari dell’arcata superiore destra nei quali ha nascosto una capsula di cianuro. Era stato Hitler in persona a dargliela, a Rastenburg, il 20 luglio 1944, giorno del fallito attentato contro il fuhrer. E gli aveva fatto promettere di non cadere vivo nelle mani del nemico, scelta che faranno molti nazisti, dallo stesso Hitler a Goebbels a Goering, che riuscirà a farsi portare il cianuro all’interno del carcere di Norimberga. Il duce si è fatto impiantare la capsula in un dente finto, probabilmente non pensava di usare il veleno ma ora è contento di averlo. Estrae la capsula. La rompe tra i denti. Claretta si sciacqua come può, usando un catino, quindi lava e strizza le mutandine. Una volta in camera cercherà di stenderle per farle asciugare. Ora le infila nella tasca della pelliccia. Quante congetture si faranno su quelle mutandine scomparse e sul ventre nudo della Petacci a piazzale Loreto, che un prete misericordioso coprirà con la gonna grazie a una spilla da balia. Per esempio si ipotizzerà una tentata violenza da parte dei partigiani, con Mussolini che interviene a difendere l’amante ed è freddato dai colpi di pistola.
Quella mattina invece Claretta rientra in camera, trova Mussolini in preda alle convulsioni. Il duce è in maglia e mutandoni di lana, ha lo sguardo sbarrato, sbava. Il cianuro non ha fatto l’effetto sperato e non lo ha ucciso all’istante, condannandolo a un’agonia più lunga. Claretta urla, i guardiani (Giuseppe Frangi detto Lino e Guglielmo Cantoni, “Sandrino”) vedono i sintomi dell’avvelenamento, capiscono quello che è successo, imprecano. Avevano perquisito il dittatore, non riescono a capire come possa averli beffati. Uno di loro si mette in comunicazione con i capi, forse con Luigi Longo, il braccio destro di Togliatti, spiega che Mussolini si è avvelenato e sta morendo. L’ordine è di ucciderlo. Subito. Deve risultare che lo hanno fucilato loro.
I partigiani spostano Claretta china sul duce, gli sparano. I De Maria si ribellano: <>, urla Lia. Claretta apre la finestra e invoca aiuto, come testimonierà una giovane vicina di casa, Dorina Mazzola. Poi i partigiani trascinano fuori Mussolini così com’è, prendendolo per l’elastico delle mutande, che verrà trovato slabbrato. Il suo corpo è rigido, la testa abbandonata sulla spalla. Altri colpi di mitra finiscono il duce. Anche Claretta viene uccisa.
A distanza di 62 anni, e dopo molte versioni (pare addirittura 19) proposte e poi smentite, la ricostruzione di Alberto Bertotto, studioso perugino, non è più improbabile di altre. E ha il merito di proporre una spiegazione coerente del perché il duce venne colpito all’improvviso, in camera da letto, mentre si trovava in posizione supina e vestito solo della biancheria: due punti fermi, questi, chiariti definitivamente dall’analisi delle foto dei corpi a piazzale Loreto (ci sono i buchi delle pallottole sulla maglietta della salute ma non sui vestiti che vennero fatti indossare dopo a Mussolini, vestiti che non erano i suoi, gli unici che riuscirono a mettergli poiché il rigor mortis era già avanzato).
Bertotto ha raccolto un’“intuizione” dello scrittore genovese Athos Agostini e ha proposto questa ricostruzione in alcuni articoli comparsi di recente su “Rinascita” e da allora ha continuato a indagare negli archivi italiani e americani alla ricerca di conferme,trovando nuovi elementi che pubblicherà nel libro “La morte di Benito Mussolini: una storia da riscrivere” (Paoletti, D’Isidori e Capponi editori, in corso di stampa). Prove decisive a sostegno della sua teoria non ne ha trovate, ma qualche indizio sì. Abbastanza suggestivo perché la storia meriti ulteriori approfondimenti.
A supportare questa ricostruzione è una testimonianza molto importante, quella di Elena Curti, figlia naturale del duce e di Angela Cucciati. All’epoca aveva 23 anni, era con il duce nella colonna fermata dai partigiani e venne imprigionata a Dongo dove restò per circa due settimane. Dopo l’uccisione del padre, ricorda al Secolo XIX che. A quella frase la signora Curti non diede troppo peso, considerandola una bugia forse pietosa, tanto che è in dubbio se a dirgliela fu Ettore Manzi, il carabiniere che indagò poi sull’oro di Dongo, o il giovane partigiano Osvaldo Gobbetti, o lo stesso Urbano Lazzaro “Bill”, l’uomo che arrestò il duce. Di certo uno dei tre, gli unici con cui parlò di quella vicenda. Ma la frase le è tornata in mente quando è stata informata dell’ipotesi avanzata da: <>
C’è poi un altro elemento che la Curti considera importante: <. Anche dal punto di vista psicologico, la Curti trova logica l’ipotesi del suicidio: <>.
Naturalmente la prima e più logica obiezione all’ipotesi è che se Mussolini si fosse avvelenato, dovrebbe essere rimasta qualche traccia del cianuro nel suo corpo. Ma l’autopsia non ne fa cenno. Il cadavere di Mussolini venne esaminato il 30 aprile dal professor Mario Caio Cattabeni. In quei giorni convulsi, spiega Bertotto, può essere successo che il rapporto ufficiale del medico sia stato emendato di alcuni elementi. Assurdo? Se pensiamo a quanto ha retto la messinscena della fucilazione qualche sospetto è lecito averlo. All’esame autoptico, spega il ricercatore, assistette il partigiano “Guido” e impedì che venisse fatta l’autopsia sulla Petacci e che si citassero possibili elementi scomodi. Tutti quelli che non collimavano con la versione “ufficiale”.Così il referto finale non fece menzione dell’ora della morte, né del fatto che a Mussolini mancassero dei denti, né dei due colpi di pistola sparati all’addome (risultano nove colpi, quelli dell’“esecuzione”, invece degli undici di cui si vedono i segni nelle foto, come dimostrarono gli esami fatti dall’Istituto di Medicina legale di Pavia nel maggio 2006). Né vennero fatti esami specifici per ricercare tracce del veleno, ma a dire il vero, non essendoci sospetti, non avrebbe avuto senso farlo.
Per saperne di più bisognerebbe poter esaminare il cervello di Mussolini, cosa che non è più possibile. Ma qualcuno, all’epoca, lo fece. Due pezzi di cervello vennero spediti negli Stati Uniti dove all’epoca si cercavano di trovare, attraverso esami specifici, le ragioni di determinati comportamenti criminali. A esaminare i reperti furono il dottor W. Overholser del Saint Elizabeth di Washington (studio della morfologia cerebrale) e il dottor Webb Haymaker dell’Aip (Army Institute of Pathology, oggi Walter Reed Army Medical Center Institute), sempre di Washington (esami neuroistopatologici). La relazione ufficiale del primo esame non è mai stata resa nota, quella del secondo venne diffusa solamente nel 1966 e vi è scritto che non ci sono tracce di malattie che spieghino il “perché Mussolini si comportò in un certo modo dittatoriale”. In Italia esaminò il cervello del duce l’anatomopatologo P.G. Bianchi, che lo definì “il normalissimo cervello di un sessantenne”. Tuttavia, individuare tracce di un avvelenamento da cianuro non è semplice se non si fanno esami specifici.
Lo storico era giunto apparentemente in un vicolo cieco, quando la testimonianza (anonima) di un’anziana archivista dell’Aip ha appena portato alla luce una coincidenza interessante. Spiega Bertotto: <>. E’ poco per dire che quel foglio volante si riferisse all’autopsia di Mussolini, ma certo la coincidenza di un non militare morto ufficialmente per ferite di arma da fuoco e invece avvelenato nel 1945, oltreoceano, è senza dubbio intrigante. Come l’ordine perentorio di non archiviare il referto, cosa assolutamente anomala.
Il ricordo di una figlia sulla frase di un partigiano, quello di un’archivista su un foglio fantasma, le tante bugie dei testimoni diretti, le ambiguità dell’autopsia non sono certamente sufficienti ad avvalorare questa teoria. Ma possono servire di stimolo a scavare ulteriormente sulla fine di quello che resta uno dei protagonisti della storia del XX secolo.
I denti
Un particolare interessante riguarda i denti mancanti del duce. Spiega Bertotto: <>. La “beffa” del suicidio era molto temuta dagli Alleati, che volevano per i gerarchi fascisti e nazisti un processo esemplare, e a Norimberga le misure di sicurezza erano strettissime. Solo qualche anno fa si è scoperto che Goering riuscì a far entrare il cianuro all’interno di una penna, che un’amica gli fece avere dopo avere sedotto una guardia carceraria un po’ ingenua.Non è un caso che, non appena catturarono Saddam Hussein, gli americani gli abbiano ispezionato la bocca con grande attenzione, per individuare eventuali capsule di veleno. Naturalmente, restiamo nel campo delle suggestive ipotesi: i denti di Mussolini possono essere semplicemente caduti a causa dei calci e dei colpi inferti al suo cadavere a piazzale Loreto. In quel caso però, ribatte Bertotto, Cova avrebbe annotato che i denti erano caduti in seguito a violenze.
La versione ufficiale
Pochi credono ormai alla versione “ufficiale” di Walter Audisio, il colonnello Valerio, che sempre sostenne di avere fucilato il duce davanti al cancello di villa Belmonte, alle quattro e venti del pomeriggio del 28 aprile. Nel tempo altre ipotesi sono emerse: pare che il partigiano Frangi, uno dei carcerieri, dopo la fine della guerra per un certo periodo andò in giro vantandosi di avere ucciso lui il duce, fino a quando qualcuno lo mise a tacere. A detta di molti storici era un elemento difficilmente controllabile, soprannominato “Diavolo rosso”. Di certo non fu l’unico, tra i partigiani che erano entrati in contatto con la colonna del duce a morire di morte violenta: stessa sorte toccò a Luigi Canali (Neri) e Giuseppina Tuissi (Gianna). Si sono ipotizzate rese dei conti legate a rivalità personali, politiche, e alla spartizione dell’oro di Dongo (c’è chi dice addirittura 600 miliardi di lire di allora). Ma anche il segreto sulla vera fine di Mussolini potrebbe essere un movente credibile. Anche ad altri partigiani è stata attribuita la responsabilità dell’esecuzione, in particolare a Michele Moretti (Pietro). Uno dei pochi superstiti, Urbano Lazzaro detto “Bill”, già dieci anni fa sostenne però che Mussolini e la Petacci erano già morti da ore quando avvenne “l’esecuzione”.
La Petacci
Elena Curti, figlia naturale di Mussolini, che ha ricostruito nel libro “Il chiodo a tre punte” (Gianni Iuculano editore) le vicende di quei giorni, non crede alla versione ufficiale neppure per quanto riguarda la fine di Claretta Petacci: <>. Nessuno aveva condannato a morte Claretta, che era l’amante del duce ma non aveva nessuna responsabilità “politica”. Fu eliminata per rabbia, o per mettere a tacere una testimone scomoda? Per coprire l’assassinio si raccontò che la Petacci aveva voluto condividere la sorte di Mussolini, o che si era frapposta tra la raffica e il corpo del duce, ricevendo i colpi mortali.
Strani fantasmi
Alberto Bertotto da anni si occupa della morte del duce, ma a indirizzarlo sull’ipotesi del cianuro è stato Athos Agostini, scrittore genovese. Racconta quest’ultimo che intorno alla metà degli anni Settanta, mentre si trovava in vacanza sul ramo lecchese del lago di Como, ebbe una forte esperienza psichica: gli apparve infatti lo spettro di Mussolini che gli raccontò come erano andate le cose nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945. Agostini ne restò impressionato ma non si preoccupò di verificare il racconto. Che gli tornò in mente solo molti anni dopo, intorno al Duemila, quando durante una trasmissione a tarda sera su Raitre vide un filmato in cui dei medici americani sostenevano che nel cervello di Mussolini erano state rinvenute tracce di cianuro. Nonostante le molte ricerche, né Agostini né Bertotto hanno più ritrovato quel filmato, ma solo un altro testimone che ricorda di averlo visto. E dagli ospedali americani non sono giunte conferme.
Tratto da www.claudiopaglieri.com
Mattina del 28 aprile 1945. Casa di Giacomo e Lia De Maria a Bonzanigo di Mezzegra, vicino a Como. Claretta Petacci esce dalla stanza in cui è tenuta prigioniera con Benito Mussolini, chiede a uno dei due partigiani di guardia di poter uscire. L’amante del Duce è indisposta, e ha bisogno di andare in bagno in cortile e di lavarsi. Fuori fa freddo, Claretta mette la pelliccia ed esce, guardata a vista dal partigiano. E’ l’occasione che Mussolini aspettava. Aveva tentato la fuga insieme alla colonna tedesca diretta in Valtellina, e aveva con sé documenti preziosi: in particolare, secondo molti storici, il carteggio scambiato con Winston Churchill in cui il ministro inglese, con la nazione sull’orlo del collasso, avrebbe chiesto all’Italia di entrare in guerra al fianco di Hitler, per poter avere al tavolo della pace un interlocutore più ragionevole di Hitler; promettendo in cambio molti territori francesi. Quelle lettere possono rappresentare la salvezza, per Mussolini, quando sarà il momento di comparire davanti a un tribunale internazionale. Il 27 aprile, però, il duce è stato riconosciuto e catturato dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi, e la borsa gli è stata portata via. A questo punto sa di non avere speranze di salvezza: i partigiani, invece di consegnarlo agli americani, sono determinati a ucciderlo. La sua fucilazione è stata decretata da quattro membri di spicco del Comitato insurrezionale antifascista: Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani.
Mussolini è stanco, sfiduciato. Nella casa colonica, la sera prima, è riuscito a impossessarsi di un coltello da cucina. Non potrebbe servirgli a granché, contro due carcerieri più giovani di lui e armati di mitra. Ma per quello che deve fare è perfetto. Lo infila in bocca, fa saltare due molari dell’arcata superiore destra nei quali ha nascosto una capsula di cianuro. Era stato Hitler in persona a dargliela, a Rastenburg, il 20 luglio 1944, giorno del fallito attentato contro il fuhrer. E gli aveva fatto promettere di non cadere vivo nelle mani del nemico, scelta che faranno molti nazisti, dallo stesso Hitler a Goebbels a Goering, che riuscirà a farsi portare il cianuro all’interno del carcere di Norimberga. Il duce si è fatto impiantare la capsula in un dente finto, probabilmente non pensava di usare il veleno ma ora è contento di averlo. Estrae la capsula. La rompe tra i denti. Claretta si sciacqua come può, usando un catino, quindi lava e strizza le mutandine. Una volta in camera cercherà di stenderle per farle asciugare. Ora le infila nella tasca della pelliccia. Quante congetture si faranno su quelle mutandine scomparse e sul ventre nudo della Petacci a piazzale Loreto, che un prete misericordioso coprirà con la gonna grazie a una spilla da balia. Per esempio si ipotizzerà una tentata violenza da parte dei partigiani, con Mussolini che interviene a difendere l’amante ed è freddato dai colpi di pistola.
Quella mattina invece Claretta rientra in camera, trova Mussolini in preda alle convulsioni. Il duce è in maglia e mutandoni di lana, ha lo sguardo sbarrato, sbava. Il cianuro non ha fatto l’effetto sperato e non lo ha ucciso all’istante, condannandolo a un’agonia più lunga. Claretta urla, i guardiani (Giuseppe Frangi detto Lino e Guglielmo Cantoni, “Sandrino”) vedono i sintomi dell’avvelenamento, capiscono quello che è successo, imprecano. Avevano perquisito il dittatore, non riescono a capire come possa averli beffati. Uno di loro si mette in comunicazione con i capi, forse con Luigi Longo, il braccio destro di Togliatti, spiega che Mussolini si è avvelenato e sta morendo. L’ordine è di ucciderlo. Subito. Deve risultare che lo hanno fucilato loro.
I partigiani spostano Claretta china sul duce, gli sparano. I De Maria si ribellano: <
A distanza di 62 anni, e dopo molte versioni (pare addirittura 19) proposte e poi smentite, la ricostruzione di Alberto Bertotto, studioso perugino, non è più improbabile di altre. E ha il merito di proporre una spiegazione coerente del perché il duce venne colpito all’improvviso, in camera da letto, mentre si trovava in posizione supina e vestito solo della biancheria: due punti fermi, questi, chiariti definitivamente dall’analisi delle foto dei corpi a piazzale Loreto (ci sono i buchi delle pallottole sulla maglietta della salute ma non sui vestiti che vennero fatti indossare dopo a Mussolini, vestiti che non erano i suoi, gli unici che riuscirono a mettergli poiché il rigor mortis era già avanzato).
Bertotto ha raccolto un’“intuizione” dello scrittore genovese Athos Agostini e ha proposto questa ricostruzione in alcuni articoli comparsi di recente su “Rinascita” e da allora ha continuato a indagare negli archivi italiani e americani alla ricerca di conferme,trovando nuovi elementi che pubblicherà nel libro “La morte di Benito Mussolini: una storia da riscrivere” (Paoletti, D’Isidori e Capponi editori, in corso di stampa). Prove decisive a sostegno della sua teoria non ne ha trovate, ma qualche indizio sì. Abbastanza suggestivo perché la storia meriti ulteriori approfondimenti.
A supportare questa ricostruzione è una testimonianza molto importante, quella di Elena Curti, figlia naturale del duce e di Angela Cucciati. All’epoca aveva 23 anni, era con il duce nella colonna fermata dai partigiani e venne imprigionata a Dongo dove restò per circa due settimane. Dopo l’uccisione del padre, ricorda al Secolo XIX che
C’è poi un altro elemento che la Curti considera importante: <. Anche dal punto di vista psicologico, la Curti trova logica l’ipotesi del suicidio: <
Naturalmente la prima e più logica obiezione all’ipotesi è che se Mussolini si fosse avvelenato, dovrebbe essere rimasta qualche traccia del cianuro nel suo corpo. Ma l’autopsia non ne fa cenno. Il cadavere di Mussolini venne esaminato il 30 aprile dal professor Mario Caio Cattabeni. In quei giorni convulsi, spiega Bertotto, può essere successo che il rapporto ufficiale del medico sia stato emendato di alcuni elementi. Assurdo? Se pensiamo a quanto ha retto la messinscena della fucilazione qualche sospetto è lecito averlo. All’esame autoptico, spega il ricercatore, assistette il partigiano “Guido” e impedì che venisse fatta l’autopsia sulla Petacci e che si citassero possibili elementi scomodi. Tutti quelli che non collimavano con la versione “ufficiale”.Così il referto finale non fece menzione dell’ora della morte, né del fatto che a Mussolini mancassero dei denti, né dei due colpi di pistola sparati all’addome (risultano nove colpi, quelli dell’“esecuzione”, invece degli undici di cui si vedono i segni nelle foto, come dimostrarono gli esami fatti dall’Istituto di Medicina legale di Pavia nel maggio 2006). Né vennero fatti esami specifici per ricercare tracce del veleno, ma a dire il vero, non essendoci sospetti, non avrebbe avuto senso farlo.
Per saperne di più bisognerebbe poter esaminare il cervello di Mussolini, cosa che non è più possibile. Ma qualcuno, all’epoca, lo fece. Due pezzi di cervello vennero spediti negli Stati Uniti dove all’epoca si cercavano di trovare, attraverso esami specifici, le ragioni di determinati comportamenti criminali. A esaminare i reperti furono il dottor W. Overholser del Saint Elizabeth di Washington (studio della morfologia cerebrale) e il dottor Webb Haymaker dell’Aip (Army Institute of Pathology, oggi Walter Reed Army Medical Center Institute), sempre di Washington (esami neuroistopatologici). La relazione ufficiale del primo esame non è mai stata resa nota, quella del secondo venne diffusa solamente nel 1966 e vi è scritto che non ci sono tracce di malattie che spieghino il “perché Mussolini si comportò in un certo modo dittatoriale”. In Italia esaminò il cervello del duce l’anatomopatologo P.G. Bianchi, che lo definì “il normalissimo cervello di un sessantenne”. Tuttavia, individuare tracce di un avvelenamento da cianuro non è semplice se non si fanno esami specifici.
Lo storico era giunto apparentemente in un vicolo cieco, quando la testimonianza (anonima) di un’anziana archivista dell’Aip ha appena portato alla luce una coincidenza interessante. Spiega Bertotto: <
Il ricordo di una figlia sulla frase di un partigiano, quello di un’archivista su un foglio fantasma, le tante bugie dei testimoni diretti, le ambiguità dell’autopsia non sono certamente sufficienti ad avvalorare questa teoria. Ma possono servire di stimolo a scavare ulteriormente sulla fine di quello che resta uno dei protagonisti della storia del XX secolo.
I denti
Un particolare interessante riguarda i denti mancanti del duce. Spiega Bertotto: <
La versione ufficiale
Pochi credono ormai alla versione “ufficiale” di Walter Audisio, il colonnello Valerio, che sempre sostenne di avere fucilato il duce davanti al cancello di villa Belmonte, alle quattro e venti del pomeriggio del 28 aprile. Nel tempo altre ipotesi sono emerse: pare che il partigiano Frangi, uno dei carcerieri, dopo la fine della guerra per un certo periodo andò in giro vantandosi di avere ucciso lui il duce, fino a quando qualcuno lo mise a tacere. A detta di molti storici era un elemento difficilmente controllabile, soprannominato “Diavolo rosso”. Di certo non fu l’unico, tra i partigiani che erano entrati in contatto con la colonna del duce a morire di morte violenta: stessa sorte toccò a Luigi Canali (Neri) e Giuseppina Tuissi (Gianna). Si sono ipotizzate rese dei conti legate a rivalità personali, politiche, e alla spartizione dell’oro di Dongo (c’è chi dice addirittura 600 miliardi di lire di allora). Ma anche il segreto sulla vera fine di Mussolini potrebbe essere un movente credibile. Anche ad altri partigiani è stata attribuita la responsabilità dell’esecuzione, in particolare a Michele Moretti (Pietro). Uno dei pochi superstiti, Urbano Lazzaro detto “Bill”, già dieci anni fa sostenne però che Mussolini e la Petacci erano già morti da ore quando avvenne “l’esecuzione”.
La Petacci
Elena Curti, figlia naturale di Mussolini, che ha ricostruito nel libro “Il chiodo a tre punte” (Gianni Iuculano editore) le vicende di quei giorni, non crede alla versione ufficiale neppure per quanto riguarda la fine di Claretta Petacci: <
Strani fantasmi
Alberto Bertotto da anni si occupa della morte del duce, ma a indirizzarlo sull’ipotesi del cianuro è stato Athos Agostini, scrittore genovese. Racconta quest’ultimo che intorno alla metà degli anni Settanta, mentre si trovava in vacanza sul ramo lecchese del lago di Como, ebbe una forte esperienza psichica: gli apparve infatti lo spettro di Mussolini che gli raccontò come erano andate le cose nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945. Agostini ne restò impressionato ma non si preoccupò di verificare il racconto. Che gli tornò in mente solo molti anni dopo, intorno al Duemila, quando durante una trasmissione a tarda sera su Raitre vide un filmato in cui dei medici americani sostenevano che nel cervello di Mussolini erano state rinvenute tracce di cianuro. Nonostante le molte ricerche, né Agostini né Bertotto hanno più ritrovato quel filmato, ma solo un altro testimone che ricorda di averlo visto. E dagli ospedali americani non sono giunte conferme.
Tratto da www.claudiopaglieri.com
domenica 26 aprile 2009
Anche se tutti.... noi NO!
Noi rifiutiamo l'antifascismo, rifiutiamo l'idea che italiani debbano contrapporsi ad altri italiani, rifiutiamo l'idea che l'Italia debba celebrare una divisione e una sconfitta. Fascismo non è antitesi di libertà, non è terrore, non è regresso. Nessun paese può sperare di vivere a lungo in pace e progresso se non è capace di affrontare il proprio passato serenamente, non si può imporre la morale dei vincitori, non si possono esaltare i loro ideali e presentare il tutto come "valori universali", gli italiani non si riconoscono in massa nell'antifascismo, non è su questo punto che si può costruire una nazione unita. Riposti nei cassetti i fazzoletti rossi, dimenticati i discorsi di vecchi traditori e nuovi imbonitori, resta un'Italia divisa, un'Italia antica di secoli e non nata dalla cosiddetta "resistenza", consegnata dal 25 aprile di sessantaquattro anni fa alla schiavitù delle potenze atlantiste. La nostra voce grida la ribellione, la nostro voce è grido di libertà.
sabato 18 aprile 2009
Tutti per l'Abruzzo
martedì 10 febbraio 2009
RITORNEREMO
Istria, Fiume e Dalmazia, 1943-1946: 20.000 italiani assassinati, di questi almeno 6.000 infoibati, oltre 350.000 cittadini italiani costretti all'esilio, il territorio di Trieste e di Gorizia mutilato, i beni italiani confiscati dallo stato Jugoslavo, terre da sempre italiane occupate dallo straniero. Tutto questo non può essere dimenticato, non deve essere perdonato, non resterà impunito.
"Là dove fummo, là dove i nostri morti ci attendono, là dove abbiamo lasciato tracce potenti e indistruttibili della nostra civiltà, là noi
RITORNEREMO"
giovedì 5 febbraio 2009
Foibe: per non scordare!
Sabato 7 febbraio Blocco Studentesco e CasaPound Campania commemorano i martiri istriani fiumani e dalmati con una manifestazione regionale a Frattamaggiore. Insieme per ricordare i fratelli delle province orientali, alfieri dell'italianità, morti per l'odio slavocomunista nel silenzio colpevole degli anglo-americani e nel silenzio pavido dei governi italiani antifascisti. Noi non dimentichiamo, noi rivendichiamo con orgoglio l'italianità, noi vogliamo rompere il silenzio ed onorare quanti hanno pagato col sangue la propria appartenenza nazionale.
mercoledì 14 gennaio 2009
Un passo avanti
Con l'anno nuovo di solito si fanno propositi e si aspettano novità, e nuove cose arrivano anche qui, portandosi dietro entusiasmi e progetti per un cammino che prosegue. Il gruppo di Gioventù Aversana ha deciso la fusione con Base Militante Atellana, comunità di camerati che, radicata sul territorio dell'agro, riprende e amplia il progetto originario di GA offrendo una piattaforma di dialogo, confronto e contatto a tutti quanti gravitino nell' "Area" (quanto spesso questa parola sembra una utopia sfuggente!) e legando attualmente il proprio operato a CasaPound-Agro Aversano. A questo punto potrebbe anche terminare l'esperienza di GA, dopo due anni, potrebbero considerarsi raggiunti gli obiettivi, una comunità è formata, si è dato vita ad una rete di contatti che consente di raggiungere camerati e militanti, sono state raggiunte le città circostanti......... ma crediamo sia utile continuare a mantenere vitale una struttura organizzativa e di contatto che si dedichi prevalentemente alla città di Aversa, che sostenga le iniziative che dovessero svilupparsi e tenga le file di un discorso che avvicini i tanti "cani sciolti" che sono lontani dalla militanza organica. Per cui all'interno della Base Militante Atellana permane un nucleo di GA che sarà il principale strumento di azione su Aversa.
E' un passo avanti, questo che stiamo compiendo, sulla strada della organizzazzione territoriale di una realtà di riferimento per i camerati, un piccolo successo che testimonia la bontà dell'impegno profuso sino ad ora, il nuovo baluardo da cui far partire l'azione e la lotta.
E' un passo avanti, questo che stiamo compiendo, sulla strada della organizzazzione territoriale di una realtà di riferimento per i camerati, un piccolo successo che testimonia la bontà dell'impegno profuso sino ad ora, il nuovo baluardo da cui far partire l'azione e la lotta.
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