domenica 18 dicembre 2011
Buon Natale!
Nei giorni 21, 22 e 23 dicembre l'Associazione Gioventù Aversana organizzerà una tre giorni di incontri culturali ed iniziative di solidarietà presso il chiostro di S.Francesco in piazzetta Don Diana. Sarà l'occasione per fare gli auguri di buon Natale e buon anno a tutti gli aversani, presentando le iniziative dell'associazione e dando spazio alle tante forze positive che si muovono sul nostro territorio e che da sempre trovano nei giovani di GA un aiuto per emergere. Per questa occasione si è voluta coniugare la promozione culturale, che è in cima agli obiettivi dell'associazione, con la solidarietà, evento principale sarà infatti la mostra fotografica dal titolo " Le Edicole Votive tra devozione ed Architettura", uno studio sulle edicole dedicate al culto dei santi di Aversa, Casaluce e Lusciano realizzato dal designer aversano Carlo De Cristofaro, ma sarà presente anche l'Oratorio Savina Petrilli con i suoi volantari per illustrare il progetto "Amper Eritrea" per il sostentamento delle missioni vincenziane nel paese africano, cui si potrà contribuire acquistando i calendari realizzati dalla Amper ONLUS. Sarà gradito ospite anche il cantautore Giuseppe Carli ed il gran finale è previsto per il 23 dicembre alle ore 20.00 quando il giovane autore Luigi Intelligenza interverrà a presentare il suo ultimo lavoro “Tutta Colpa di Un Paio di Gambe” romanzo ambientato nell’Agro Aversano, nel cuore stesso di quelle famose terre di “Gomorra” che tanto sono diventate popolari raccontando la storia del protagonista Pietro Nicola Di Maio con uno stile tagliente che arpiona il lettore dalla prime pagine e lo trascina in fondo con sé. Invitiamo tutti gli aversani a passare con noi queste giornate prenatalizie riscoprendo insieme un po' della nostra storia, della nostra terra e della nostra cultura.
Questo il programma completo della manifestazione:
21-22 - 23 dicembre
MOSTRA FOTOGRAFICA "LE EDICOLE VOTIVE TRA DEVOZIONE ED ARCHITETTURA"
mercoledi 21 dalle ore 17.00 alle 22.00 - giovedi 22 dalla ore 10.00 alle 22.00 - venerdi 23 dalle ore 10.00 alle 20.00
21-22-23 dicembre
IL GRUPPO SCOUT M.A.S.C.I. PRESENTA IL RESTAURO D'UNA EDICOLA VOTIVA AD AVERSA
21-22 dicembre
L'ORATORIO SAVINA PETRILLI PRESENTA IL PROGETTO "AMPER ERITREA"
22 dicembre
DALLE ORE 17.00 OSPITE IL CANTAUTORE GIUSEPPE CARLI
23 dicembre
PRESENTAZIONE DEL LIBRO "TUTTA COLPA DI UN PAIO DI GAMBE" DI LUIGI INTELLIGENZA, dalle ore 20.00
ore 22.00 AUGURI DI NATALE
martedì 1 novembre 2011
martedì 18 ottobre 2011
Mala tempora...
Non deve essere stato casuale, negli anni '30, l'orientamento del monumento ai caduti della Grande Guerra in Piazza municipio, gli eroi e la vittoria alata, con lungimerante preveggenza volgono le spalle al palazzo che ospita gli uffici comunali, come a non voler vedere quel che accade nella casa della politica aversana. Fanno bene a non guardare le quattro statue, a conservare intatta la loro dignità bronzea, dal momento che ben poco di piacevole c'è da vedere alle loro spalle.
Nelle scorse settimane finalmente il sindaco ha posto fine alla lunga querelle apertasi in estate nella maggioranza assegnando le deleghe appartenute ai defenestrati Della Valle e Dello Vicario ai consiglieri Amoroso e Galluccio. Il primo è quel Carlo Amoroso che a giugno aveva tuonato "il PDL ad Aversa non esiste" e non si era risparmiato nell'esporre tutte le mancanze e le problematiche che, a suo dire, minavano il partito azzurro, poi dopo aver suonato la grancassa della stampa locale, dopo aver ammiccato agli ectoplasmatici "futuristi" e fatto un po' di baccano, ha trascorso una tranquilla estate in attesa degli eventi per poi accomodarsi con disinvoltura sulla poltrona da assessore prorompendo in elogi al sindaco, alla giunta, ed al gruppo consiliare.... del PDL! Dunque deve dedursi che, secondo il neo-asessore, il PDL esista o meno in considerazione degli incarichi i delle cadreghe che distribuisce ai suoi famelici consiglieri a caccia di rielezione. Il secondo ingresso in giunta è quello dell'eterno giovane Michele Galluccio, ex delegato alle politiche giovanili ed ex membro della triade aennina con Della Valle e Dello Vicario, che non ha esitato a schierarsi dalla parte del primo cittadino nel periodo di massimo scontro all'interno del partito di maggioranza lanciandosi poi con maramaldesco impeto sulle poltrone lasciate libere dai suoi ex compagni di cordata, pronto anche lui, dopo i rituali ringraziamenti ai colleghi del gruppo consiliare, a lodare le rosee prospettive della giunta in questi ultimi mesi di mandato. Indubbiamente, in entrambi i casi, si avverte un elevatissimo senso di dignità personale ed un disinteressato impegno per la cittadinanza. Poco si è compreso però del tentativo di fuga in avanti del consigliere provinciale Dello Vicario che nel corso dell'estate aveva lanciato la sfida ai vertici cittadini e provinciali del PDL per ottenere con largo anticipo la candidatura a sindaco nel 2012, aveva insistito a lungo nel portare l'attacco al sindaco Ciaramella coinvolgendo l'altro ex AN Della Valle, ma è rimasto isolato nel gioco delle correnti e si è visto costretto a ripiegare, forse solo momentaneamente, assieme al suo principale sostenitore Angelo Polverino. Un Polverino che ha alimentato un polverone risoltosi nel nulla, nel quale però Della Valle ci ha rimesso la poltrona e Dello Vicario ha perduto il primo round. Nemmeno il centrosinistra però pare avere le idee molto chiare, dopo la improvvisa ed immotivata agitazione del consigliere Stabile in sede di approvazione di bilancio le opposizioni si sono spese in attente riflessioni alla ricerca del proprio candidato sindaco per l'anno venturo, e tra liti, veti ed oggettive incapacità sono riuscite a far circolare un paio di nomi il cui suono provoca una smorfia a metà tra lo stupore e l'ilarità: Raffaele Ferrara, Vito Faenza. Già due volte sindaco, già assassino politico del proprio successore, già battuto alle primarie il primo. Buon giornalista ma sostanzialmente lontano dalla politica aversana e sconosciuto ai più il secondo. Se dopo un decennio di amministrazioni di centrodestra la sinistra normanna non riesce ancora a ricompattarsi ed a trovare un candidato credibile, limitandosi a riproporre leader falliti e firme stagionate, vuol dire che il problema è quasi antropologico e travalica le differenze di schieramento. Manca la dignità, manca la competenza, mancano le capacità intellettive e tutte queste carenze paiono concentrarsi con spiccata uniformità nel municipio aversano. Fortuna che i quattro scolpiti da Jerace guardano altrove!
sabato 1 ottobre 2011
Crisi e agenzie di rating
“Standard & Poor’s taglia rating del debito italiano. L'agenzia ha declassato il debito sovrano a breve e lungo termine portandolo da A+ ad A, e da A-1+ ad A-1. Ritiene che le prospettive di crescita si siano indebolite e che la fragilità della maggioranza di governo sia destinata a continuare.”
La Repubblica, 20 settembre 2011.
Su parte della stampa italiana - specie da parte di Repubblica (quotidiano notoriamente espressione di una fetta consistente di grandi gruppi di potere politici ed economici filo-sionisti) - si sta tentando di far passare il messaggio che le agenzie di rating siano espressione siano espressione di terzietà ed imparzialità, nulla di più falso in realtà. S&P è una società a capitale diffuso, sussidiaria della potentissima casa editrici americana McGraw-Hill (per capirci quella delle guide computer-informatica con cui ci ha assillato il quotidiano di De Benedetti qualche anno fa). Capitale diffuso significa controllo totale da parte degli speculatori privati della finanza mondiale, quelli che di solito fanno affari d’oro quando gli stati sono costretti, sull’orlo della bancarotta, a svendere le proprie partecipazioni e le proprie risorse strategiche. Si ammetta dunque questo quesito: chi è che ha intenzione di tuffarsi a mo‘ di pescecani sull’economia italiana, magari riproponendo una operazione stile 1992? Si dia come risposta: gli speculatori della finanza internazionale privata. Si dia come secondo quesito: chi è che controlla S&P? Risposta: gli speculatori della finanza internazionale privata. A questo punto l’equazione mi sembra risolta.
Chiariamo una volta per tutte cosa sono le agenzie di rating: avete presente quando, tentando di abbordare una ragazza od un ragazzo, siete terribilmente antipatici al suo migliore amico od alla sua migliore amica? Questi tenteranno in ogni modo di screditarvi ed inizieranno a sparlare di voi con chiunque capiti a tiro, magari con l’obiettivo di soffiarvi la conquista. Chiaro? Ecco le agenzie di rating sono questo! Questi pescecani riescono a tuffarsi in silenzio sulla loro preda, cioè la nostra economia, perché siamo tutti troppo occupati ad essere morbosamente interessati alle vicende berlusconiane, puntando il dito esclusivamente contro il fenomeno da baraccone brianzolo. Non è un caso che la famigerata intervista alla escort Terry Nicolò sia venuta fuori proprio in questi giorni. In conclusione, occorre rendersi conto che Berlusconi può essere mandato via solo da noi cittadini. Guai a credere che criminali della peggior specie, a cui i più sanguinari mafiosi sinceramente fanno un baffo, siano improvvisamente diventati nostri grandi alleati nella lotta contro il male – così come invece lasciano intendere alcune fastidiose dichiarazioni dell’establishment del centrosinistra, da Di Pietro a Vendola. Invece, a volte, sembra si stia cadendo nella loro trappola, nella trappola preparata da certe agenzie “compagne”.
Paolo Bordino
La Repubblica, 20 settembre 2011.
Su parte della stampa italiana - specie da parte di Repubblica (quotidiano notoriamente espressione di una fetta consistente di grandi gruppi di potere politici ed economici filo-sionisti) - si sta tentando di far passare il messaggio che le agenzie di rating siano espressione siano espressione di terzietà ed imparzialità, nulla di più falso in realtà. S&P è una società a capitale diffuso, sussidiaria della potentissima casa editrici americana McGraw-Hill (per capirci quella delle guide computer-informatica con cui ci ha assillato il quotidiano di De Benedetti qualche anno fa). Capitale diffuso significa controllo totale da parte degli speculatori privati della finanza mondiale, quelli che di solito fanno affari d’oro quando gli stati sono costretti, sull’orlo della bancarotta, a svendere le proprie partecipazioni e le proprie risorse strategiche. Si ammetta dunque questo quesito: chi è che ha intenzione di tuffarsi a mo‘ di pescecani sull’economia italiana, magari riproponendo una operazione stile 1992? Si dia come risposta: gli speculatori della finanza internazionale privata. Si dia come secondo quesito: chi è che controlla S&P? Risposta: gli speculatori della finanza internazionale privata. A questo punto l’equazione mi sembra risolta.
Chiariamo una volta per tutte cosa sono le agenzie di rating: avete presente quando, tentando di abbordare una ragazza od un ragazzo, siete terribilmente antipatici al suo migliore amico od alla sua migliore amica? Questi tenteranno in ogni modo di screditarvi ed inizieranno a sparlare di voi con chiunque capiti a tiro, magari con l’obiettivo di soffiarvi la conquista. Chiaro? Ecco le agenzie di rating sono questo! Questi pescecani riescono a tuffarsi in silenzio sulla loro preda, cioè la nostra economia, perché siamo tutti troppo occupati ad essere morbosamente interessati alle vicende berlusconiane, puntando il dito esclusivamente contro il fenomeno da baraccone brianzolo. Non è un caso che la famigerata intervista alla escort Terry Nicolò sia venuta fuori proprio in questi giorni. In conclusione, occorre rendersi conto che Berlusconi può essere mandato via solo da noi cittadini. Guai a credere che criminali della peggior specie, a cui i più sanguinari mafiosi sinceramente fanno un baffo, siano improvvisamente diventati nostri grandi alleati nella lotta contro il male – così come invece lasciano intendere alcune fastidiose dichiarazioni dell’establishment del centrosinistra, da Di Pietro a Vendola. Invece, a volte, sembra si stia cadendo nella loro trappola, nella trappola preparata da certe agenzie “compagne”.
Paolo Bordino
martedì 20 settembre 2011
Non sostiamo sulla breccia!
Era il 20 settembre di 141 anni fa quando i lamarmorei piumetti dei bersaglieri apparvero tra pietre divelte delle mura Aureliane accanto a Porta Pia per portare il tricolore nella città eterna. Finalmente l'Italia coronava la propria indipendenza con la sua naturale capitale, Roma, l'unica città della penisola che può assurgere a simbolo dell'intera nazione, nessuna altra città infatti ne avrà mai la medesima carica simbolica, la stessa aura mitica che una storia ultramillenaria le ha conferito. L'URBE, la città per eccellenza, la capitale dell'Impero Romano, il centro del Papato e della cattolicità, la capitale radiosa dell'Italia risorta del secoli XIX e XX, è un luogo-simbolo che esercita un fascino invincibile affondando la propria storia nel mito e nutrendo il mito stesso delle gesta leggendarie degli uomini che essa nei secoli ha ispirato. Ma l'epopea risorgimentale non s'arrestò sulla breccia in quel lontano settembre, continuò ad infiammare gli animi degli italiani spronandoli a completare l'unità nazionale con quelle terre orientali che solo il crogiuolo di sangue e fango della grande guerra ci avrebbe, brevemente, restituite. E l'Italia di questo primo decennio di millennio che pare accasciata e stanca ha ancora innanzi a sé un destino di grandezza ed una certezza di resurrezione, ha in sé la forza per puntare sempre più oltre col medesimo spirito bersaglieresco per realizzare il vaticinio di gloria che mai è stato disgiunto da ROMA.
venerdì 1 luglio 2011
Aversa al Fronte
Sabato 2 luglio dalle 18.00 alle 24.00 sarà aperta al pubblico in piazza Municipio ad Aversa la mostra "Aversa al fronte, storie e memorie degli aversani nelle due guerre mondiali", organizzata dall'associazione Gioventù Aversana in collaborazione con l'Associazione Nazionale del Fante e con i curatori del sito www.aversalenostreradici.com.
La mostra, che si avvale anche del contributo di collezionisti e cultori di storia locale, vuole rendere omaggio ai cittadini aversani caduti o decorati al valore nel corso del '900 raccontando le loro storie e preservando un piccolo pezzo di memoria della comunità locale in occasione del 150° anniversario dell'Unità Nazionale. Saranno presentate, grazie ad un gazebo gentilmente messo a disposizione dalla Confersercenti, le biografie di 7 aversani che hanno immolato la propria vita nel corso delle due guerre mondiali e saranno esposti alcuni documenti cimeli d'epoca.
Con questa iniziativa l'Associazione Gioventù Aversana vuole continuare il proprio impegno per la valorizzazione della memoria storica e dell'identità nazionale.
lunedì 13 giugno 2011
Un Bagno di cemento e di denari
Al momento in cui gli aversani sono andati a votare per il Referendum consultivo sull'aggregazione a Cesa del "Rione Bagno" credo che tutti fossero convinti che ad essere interessata fosse soltanto l'area sulla quale sorgono le abitazioni di quei cesani che rivendicavano il diritto a ricongiungersi con la città d'origine, ne ero anch'io convinto fino alcuni giorni dopo la conclusione della consultazione quando ho avuto modo di consultare la mappa del mutamento circoscrizionale, ed a quel punto il sospetto espresso dal sindaco Ciaramella all'indomani del voto è diventato in me granitica certezza: dietro il referendum si celava un tentativo di megaspeculazione edilizia!
E' sufficiente guardare con attenzione la cartina che rappresenta tutta l'area che sarebbe passata nel territorio di Cesa per rendersi conto che le abitazioni costituiscono a malapena il 30% dell'intera superficie e che la gran parte del territorio conteso è costituito da terreni liberi sui quali, secondo il piano regolatore del comune di Aversa, non è possibile edificare, terreni che però diverrebbero immediatamente edificabili qualora fossere inglobati nel comune di Cesa e che verosimilmente fanno gola a molti, posti in una zona ancora poco cementificata e per di più a ridosso della linea ferroviaria Alta Velocità in fase di realizzazione. Molto probabilmente i residenti del rione si sono resi conto che la vicenda, montata ad arte da alcuni politici locali, poco o nulla aveva a che vedere con le loro legittime aspirazioni a vedersi finalmente erogati i servizi ai quali hanno diritto, questo spiega la bassissima partecipazione nella famigerata sezione 48, nella quale votavano proprio i residenti, dove, a fronte dei 1046 aventi diritto, hanno votato in appena 324 con una netta affermazione dei “no”. La campagna referendaria si è rivelata un fiasco clamoroso ed alcuni elementi non fanno che confermare la certezza delle finalità speculative di tutta l'operazione: il comitato "Cesa Fiorisce", nato spontaneamente ma ben presto "commissariato" dal sindaco De Angelis, ha raccolto circa 100 firme da altrettanti capifamiglia per richiedere l'aggregazione del rione a Cesa, ora è evidente che 100 firmatari su circa 1500 residenti di cui un migliaio votanti sono praticamente una inezia, bene avrebbero fatto i cesani a ripiegare in silenzio i gazebo ed a chiudere in un cassetto quelle cento firme dimenticando presto la magra figura rimediata, ed invece proprio basandosi su quelle cento firme il consiglio comunale di Cesa, all'unanimità, col sindaco in testa ha votato la richiesta di aggregazione alla Regione Campania, che ha concesso il referendum con voto, anche in questo caso, unanime. Una intera città ed una intera regione che vogliono modificare i confini di due circoscrizioni comunali per sole 100 firme???? C'è qualcosa di strano! Ma se si possono anche comprendere le esigenze dei cittadini non si riesce proprio a capire cosa debbano farsene questi cittadini di circa 800.000 metri quadri di terreno incolto, né si comprende per quale motivo anziché prevedere che la ridefinizione dei confini tra i due comuni prolungando via Madonna dell'Olio in modo da renderla perpendicolare a via San Michele avesse reso facilissima la distinzione tra le due città, si sia voluta includere un'area abitata ben lontana dal "quartiere dei fiori" oltre ad una immensa area disabitata. Queste stranezze si possono spiegare se lette con la logica dei palazzinari e degli speculatori che già contavano i profitti che sarebbero derivati dalle centinaia di unità immobiliari che si sarebbero potute realizzare nell'area una volta aggregata a Cesa, e dispiace per quanti in buona fede, sentendosi intimamente cesani pur vivendo formalmente ad Aversa, si sono impegnati credendo di rendere un servizio ai propri concittadini, convinti di poter aiutare il territorio, facendosi però incosciamente strumentalizzare da chi quel territorio vorrebbe distruggerlo, senza dimenticare che l'inutile consultazione è costata circa 600.000 euro dei quali 400.000 solo per la città di Aversa, un inconcepibile spreco di denaro in un momento in cui le amministrazioni locali faticano a trovare risorse.
E' sufficiente guardare con attenzione la cartina che rappresenta tutta l'area che sarebbe passata nel territorio di Cesa per rendersi conto che le abitazioni costituiscono a malapena il 30% dell'intera superficie e che la gran parte del territorio conteso è costituito da terreni liberi sui quali, secondo il piano regolatore del comune di Aversa, non è possibile edificare, terreni che però diverrebbero immediatamente edificabili qualora fossere inglobati nel comune di Cesa e che verosimilmente fanno gola a molti, posti in una zona ancora poco cementificata e per di più a ridosso della linea ferroviaria Alta Velocità in fase di realizzazione. Molto probabilmente i residenti del rione si sono resi conto che la vicenda, montata ad arte da alcuni politici locali, poco o nulla aveva a che vedere con le loro legittime aspirazioni a vedersi finalmente erogati i servizi ai quali hanno diritto, questo spiega la bassissima partecipazione nella famigerata sezione 48, nella quale votavano proprio i residenti, dove, a fronte dei 1046 aventi diritto, hanno votato in appena 324 con una netta affermazione dei “no”. La campagna referendaria si è rivelata un fiasco clamoroso ed alcuni elementi non fanno che confermare la certezza delle finalità speculative di tutta l'operazione: il comitato "Cesa Fiorisce", nato spontaneamente ma ben presto "commissariato" dal sindaco De Angelis, ha raccolto circa 100 firme da altrettanti capifamiglia per richiedere l'aggregazione del rione a Cesa, ora è evidente che 100 firmatari su circa 1500 residenti di cui un migliaio votanti sono praticamente una inezia, bene avrebbero fatto i cesani a ripiegare in silenzio i gazebo ed a chiudere in un cassetto quelle cento firme dimenticando presto la magra figura rimediata, ed invece proprio basandosi su quelle cento firme il consiglio comunale di Cesa, all'unanimità, col sindaco in testa ha votato la richiesta di aggregazione alla Regione Campania, che ha concesso il referendum con voto, anche in questo caso, unanime. Una intera città ed una intera regione che vogliono modificare i confini di due circoscrizioni comunali per sole 100 firme???? C'è qualcosa di strano! Ma se si possono anche comprendere le esigenze dei cittadini non si riesce proprio a capire cosa debbano farsene questi cittadini di circa 800.000 metri quadri di terreno incolto, né si comprende per quale motivo anziché prevedere che la ridefinizione dei confini tra i due comuni prolungando via Madonna dell'Olio in modo da renderla perpendicolare a via San Michele avesse reso facilissima la distinzione tra le due città, si sia voluta includere un'area abitata ben lontana dal "quartiere dei fiori" oltre ad una immensa area disabitata. Queste stranezze si possono spiegare se lette con la logica dei palazzinari e degli speculatori che già contavano i profitti che sarebbero derivati dalle centinaia di unità immobiliari che si sarebbero potute realizzare nell'area una volta aggregata a Cesa, e dispiace per quanti in buona fede, sentendosi intimamente cesani pur vivendo formalmente ad Aversa, si sono impegnati credendo di rendere un servizio ai propri concittadini, convinti di poter aiutare il territorio, facendosi però incosciamente strumentalizzare da chi quel territorio vorrebbe distruggerlo, senza dimenticare che l'inutile consultazione è costata circa 600.000 euro dei quali 400.000 solo per la città di Aversa, un inconcepibile spreco di denaro in un momento in cui le amministrazioni locali faticano a trovare risorse.
giovedì 19 maggio 2011
lunedì 25 aprile 2011
giovedì 14 aprile 2011
L'albero del Design
E' in libreria l'opera prima di Carlo De Cristofaro "Arte e Industria: L’albero del Design", piccolo ma interessantissimo compendio di storia del design che propone un viaggio attraverso dinamiche e ripercussioni artistiche, industriali e sociali. “Arte e Industria: L’albero del Design” vuole essere un saggio per chi si avvicina per la prima volta al mondo del disegno industriale. Attraverso un fitto sistema di citazioni, immagini, grafici, si attraversano le definizioni di questi due mondi così lontani tra loro: l’arte e l’industria, appunto, costruendo un albero immaginario eppur così reale, fatto degli oggetti del nostro quotidiano. A metà cammino, si incontrano le Avanguardie artistiche dei primi del Novecento intente nella loro ricostruzione dell’universo proprio a partire da ciò che ci circonda: il design. Nella terza parte l’arte e l’industria si fondono e sono un tutt’uno in una esplosione di creatività negli oggetti emozionali. L'autore è un giovane designer nato a Napoli ma che da sempre vive e opera ad Aversa, dopo la laurea in design si è specializzato in Disegno Industriale e Comunicazione Visiva presso "la Sapienza" di Roma. Ha lavorato come graphic designer presso diverse agenzie ed ha partecipato al Progetto PAAS-Regione Toscana ed al X Salone Satellite Milano. Nel 2007 è stato finalista al Premio Libero Bizzarri sezione architettura, dal 2009 ad oggi è docente esterno di Computer Grafica e Web Design presso le scuole superiori di Caserta e provincia.
Il libro può essere acquistato on – line o nelle librerie.
sabato 19 marzo 2011
150° dell'Unità Nazionale
Nella giornata del 17 marzo Gioventù Aversana ha organizzato uno stand in piazza Municipio ad Aversa per festeggiare con tutti gli aversani i 150 anni dell'unità Nazionale. L'iniziativa ha riscosso un insperato successo, in meno di due ore infatti sono andati esauriti gli oltre 200 spillini e nastrini tricolori approntati per l'occasione, ciò a riprova del diffuso sentimento patriottico che, nonostante un'apparenza sonnacchiosa, alberga nei nostri concittadini. Noi riteniamo doveroso celebrare la ricorrenza fondante del nostro stato nazionale difendendo l'idea italiana nei confronti di quei corvi gracchianti che dal settentrione levano scomposte e barbare minacce alla indivisibilità del territorio dello Stato, così come l'Italia va difesa dalle lagne e dalle sterili recriminazioni pseudo-meridionaliste che purtroppo trovano anche al sud sempre più alfieri.
Nel corso della mattinata sono state anche raccolte diverse decine di firme in favore della "Petizione pro Monumento Garibaldino" che l'associazione sta promuovendo da diversi mesi. Vogliamo fare ancora gli auguri a tutti gli aversani per questo anniversario.
VIVA L'ITALIA!!!
Nel corso della mattinata sono state anche raccolte diverse decine di firme in favore della "Petizione pro Monumento Garibaldino" che l'associazione sta promuovendo da diversi mesi. Vogliamo fare ancora gli auguri a tutti gli aversani per questo anniversario.
VIVA L'ITALIA!!!
lunedì 14 marzo 2011
giovedì 3 marzo 2011
Da Canne a Zama
In uscita un nuovo libro di Leo Pollini "Da Canne a Zama, storia di una vittoria" per le edizioni EffeDiEffe.
Perché un libro, oggi, su un periodo della storia di Roma? In un contesto socio-culturale che opera alacremente per cancellare le nostre radici, la nostra memoria, è paradigmatico ristudiare continuamente Roma, per capire
- come mai potesse dominare il suo vastissimo impero con così pochi soldati (quelli che gli americani hanno in Iraq);
- per capire cosa funzionò nell’impero, e come mai smise di funzionare;
- per capire le lotte del potere romano, che tanto possono illuminare le lotte del potere d’oggi;
- per capire come mai, nella decadenza, Roma seppe condurre la gestazione di un’altra civiltà, diversa ma a lei collegata come figlia.
Insomma, tale studio è funzionale alle nostre urgenze vitali, non mitologia.
La mia recente rilettura di una vecchia biografìa del leggendario Annibale (J. P. Baker, Annibale, Edizioni Dall’Oglio, 1956) suggerisce un singolare parallelo con il tempo presente. Caos da fine di un’epoca, caduta di muri e di ideologie, tecnica ed economia disumane sono realtà con cui misurarsi all’inizio di un nuovo millennio. La comune matrice di queste ultime, discesa dal calo di tensione spirituale, risiede in gran parte nell’oblio della politica.
Intendiamoci: morta questa non scompaiono i suoi rappresentanti, ma a qualificarli rimane solo la forma. La sostanza, ormai, è banale ratifica di decisioni maturate altrove, nei circoli finanziari, apolidi per loro natura.
Oggi la politica è schiava dell’economia, con tutto ciò che consegue in termini di freno alla civilizzazione, squilibri demografici, disordine morale e materiale. Questo segna il successo di una visione della vita e del mondo che nei secoli è stata mitigata, quasi trattenuta dall’arte di governo. Ogni grande impero, dal romano al britannico, dall’austro-ungarico al moderno – piaccia o no – americano, ha avuto origine da una sola presunzione: incarnare il migliore sistema politico-istituzionale esistente. L’economia sinora ha viaggiato al pari di tale concezione, mai al di sopra. Ma nella storia, il rischio di un capovolgimento si è già manifestato in tempi remoti.
Dietro i futili pretesti che le scatenarono, le guerre puniche furono il primo autentico scontro tra due civiltà fondate su queste differenti filosofie.
Da una parte Cartagine, florida ed emancipata colonia fenicia, retta da un’oligarchia mercantile tetragona al più piccolo mutamento sociale, dall’altra l’astro nascente di Roma, forte di leggi e di istituzioni uniche al mondo. Cartagine, il dominio dei mercati (la città fenicia aveva conquistato il monopolio commerciale del mondo mediterraneo) Roma, la grandezza della polis.
Fu anche la sfida tra due caratteri: il fenicio, impenetrabile, calcolatore, duttile e superstizioso contro il romano: severo, inclusivo, legalitario e pratico. Due tipi umani che, con le dovute varianti ed eccezioni, hanno distinto da sempre l’uomo d’affari dall’uomo di Stato.
L’ordine cartaginese, anche se più antico del romano, non fu autentico. La sua cellula sociale, rigida ed esclusiva, non potè essere un modello esportabile. Dalla stessa natura elitaria del governo punico discendeva poi l’idea che le colonie fossero luoghi di sfruttamento e di dipendenza commerciale. La relativa facilità nella formazione di nuovi insediamenti e la propria ricchezza, portarono Cartagine ad estraniarsi dalla guerra. Per il fenicio non era un dovere comunitario, ma una necessità che egli affidava di buon grado ad eserciti mercenari.
E’ facile sin d’ora osservare le analogie con i nostri tempi. Nei progetti dell’impero-mercato mondiale che va delineandosi, il tessuto sociale deve essere quanto mai sfibrato, destrutturato, prono ai gusti e alle false necessità instillate dalle eminenze grigie economiche e monetarie. I conflitti, lo si vede già, sono ridotti a sanguinosi rigurgiti locali, blanditi con diplomazia e dispiegamenti di quelle moderne truppe mercenarie che sono i contingenti ONU. Nel mercato globale non esiste amor di patria, perché questa è il mondo. Ai popoli è lasciato solo un ménage spinto ai limiti della sopravvivenza. L’intelligenza speculativa è bandita in nome di una cultura specialistica, ipersettoriale, aderente ai consumi. La spiritualità è degradata ad ottusa superstizione, becero supermarket dell’anima. Questa visione, oggi in itinere avanzato, è quanto Cartagine avrebbe prospettato al mondo – ovviamente in forma arcaica – una volta sconfitta Roma. Il loro lungo confronto quasi assunse contorni metafisici.
Annibale vi emerge in una fase delicata, quando fortuna ed abilità si sono equamente divise tra i contendenti. Egli non rompe – come si è tentati pensare – la mentalità propria della sua gente, ma la sublima. Nato in Spagna, versato nella guerra – caso raro per la sua stirpe che, come detto, s’interessava più che altro di traffici – acuto, carismatico, imprevedibile, Annibale è naturaliter un dittatore; come Alessandro e Napoleone è da collocare tra i più originali e brillanti grandi condottieri. Annibale fu dunque uno degli uomini più importanti tra quelli che dettero origine ad un governo personale, in opposizione al potere di un’Assemblea o di un Senato. Le sue doti di condottiero dì uomini sono passate alla storia. L’influenza che egli esercitò sulle generazioni posteriori può essere paragonata a quella di Alessandro, da cui pur si differenzia.
Le idee trasmesse da Annibale sono idee di metodologia e di azione individuali. Egli ha insegnato al mondo le modalità di agire per guidare grandi masse di uomini, per nulla limitate dalle contingenze di tempo o di luogo, ma universali ed eterne quanto l’uomo stesso; ciò grazie ad una personalità versata ad agire sulle speranze, i timori, le virtù, le debolezze e i difetti degli uomini. Se volessimo risalire alla sorgente dei concetti moderni sul comando, potremmo dimostrare che i più corretti e i più creativi provengono tuttora da lui. Cartagine non lo amava, ma su di lui, sulla sua potenza quasi interamente fondata sull’influenza personale che egli riusciva ad esercitare su altri uomini, riponeva le speranze di vittoria. Condotto ai nostri giorni, somiglia – per spregiudicatezza, rapidità e vastità d’azione, ascendente sui fedelissimi, indifferenza all’autorità - ad un Soros, il finanziere di punta del liberismo anarcoide.
Conosciamo l’esito del formidabile urto tra le due antiche potenze. Da una parte, come detto, un potere derivante appunto dal genio personale di un condottiero, che esercita il suo carisma di autorità assoluta, non dipendente, se non in minima parte, da qualche forma costruita dì governo e dall’altra una forza derivante da una stretta associazione di uomini riuniti in una società dalla forte ossatura politica. Meno note sono le cause del successo finale di Roma, che il nuovo libro edito da EFFEDIEFFE analizza.
Sarebbe riduttivo credere, come ancora pensano tanti storici vittime dell’oscurantismo marxista e di quello – speculare – liberale, che la sola economia sia generatrice di guerre. Sì tratta di un pensiero tipico di queste ideologie, ove anche l’ordine giuridico e civile è monetizzabile.
Roma vinse, invece, in ragione del suo sistema istituzionale: lungi dall’affidarsi al talento contingente di un solo uomo e a smisurate ricchezze, potè contrapporre a Cartagine il potere di Assemblea e Senato e la dedizione dei suoi cittadini-legionari.
A Roma vigeva un ordine atto ad espandersi, a civilizzare popoli diversi e a renderli partecipi di obiettivi comuni, superiori alla mera egemonia mercantile. Per questo, quando fu sentenziato che Cartagine era stata distrutta non tirarono un sospiro di sollievo solo gli abitanti dì una (ancora per poco) modesta città sul Tevere.
Maurizio Blondet
tratto da www.effedieffe.com
Perché un libro, oggi, su un periodo della storia di Roma? In un contesto socio-culturale che opera alacremente per cancellare le nostre radici, la nostra memoria, è paradigmatico ristudiare continuamente Roma, per capire
- come mai potesse dominare il suo vastissimo impero con così pochi soldati (quelli che gli americani hanno in Iraq);
- per capire cosa funzionò nell’impero, e come mai smise di funzionare;
- per capire le lotte del potere romano, che tanto possono illuminare le lotte del potere d’oggi;
- per capire come mai, nella decadenza, Roma seppe condurre la gestazione di un’altra civiltà, diversa ma a lei collegata come figlia.
Insomma, tale studio è funzionale alle nostre urgenze vitali, non mitologia.
La mia recente rilettura di una vecchia biografìa del leggendario Annibale (J. P. Baker, Annibale, Edizioni Dall’Oglio, 1956) suggerisce un singolare parallelo con il tempo presente. Caos da fine di un’epoca, caduta di muri e di ideologie, tecnica ed economia disumane sono realtà con cui misurarsi all’inizio di un nuovo millennio. La comune matrice di queste ultime, discesa dal calo di tensione spirituale, risiede in gran parte nell’oblio della politica.
Intendiamoci: morta questa non scompaiono i suoi rappresentanti, ma a qualificarli rimane solo la forma. La sostanza, ormai, è banale ratifica di decisioni maturate altrove, nei circoli finanziari, apolidi per loro natura.
Oggi la politica è schiava dell’economia, con tutto ciò che consegue in termini di freno alla civilizzazione, squilibri demografici, disordine morale e materiale. Questo segna il successo di una visione della vita e del mondo che nei secoli è stata mitigata, quasi trattenuta dall’arte di governo. Ogni grande impero, dal romano al britannico, dall’austro-ungarico al moderno – piaccia o no – americano, ha avuto origine da una sola presunzione: incarnare il migliore sistema politico-istituzionale esistente. L’economia sinora ha viaggiato al pari di tale concezione, mai al di sopra. Ma nella storia, il rischio di un capovolgimento si è già manifestato in tempi remoti.
Dietro i futili pretesti che le scatenarono, le guerre puniche furono il primo autentico scontro tra due civiltà fondate su queste differenti filosofie.
Da una parte Cartagine, florida ed emancipata colonia fenicia, retta da un’oligarchia mercantile tetragona al più piccolo mutamento sociale, dall’altra l’astro nascente di Roma, forte di leggi e di istituzioni uniche al mondo. Cartagine, il dominio dei mercati (la città fenicia aveva conquistato il monopolio commerciale del mondo mediterraneo) Roma, la grandezza della polis.
Fu anche la sfida tra due caratteri: il fenicio, impenetrabile, calcolatore, duttile e superstizioso contro il romano: severo, inclusivo, legalitario e pratico. Due tipi umani che, con le dovute varianti ed eccezioni, hanno distinto da sempre l’uomo d’affari dall’uomo di Stato.
L’ordine cartaginese, anche se più antico del romano, non fu autentico. La sua cellula sociale, rigida ed esclusiva, non potè essere un modello esportabile. Dalla stessa natura elitaria del governo punico discendeva poi l’idea che le colonie fossero luoghi di sfruttamento e di dipendenza commerciale. La relativa facilità nella formazione di nuovi insediamenti e la propria ricchezza, portarono Cartagine ad estraniarsi dalla guerra. Per il fenicio non era un dovere comunitario, ma una necessità che egli affidava di buon grado ad eserciti mercenari.
E’ facile sin d’ora osservare le analogie con i nostri tempi. Nei progetti dell’impero-mercato mondiale che va delineandosi, il tessuto sociale deve essere quanto mai sfibrato, destrutturato, prono ai gusti e alle false necessità instillate dalle eminenze grigie economiche e monetarie. I conflitti, lo si vede già, sono ridotti a sanguinosi rigurgiti locali, blanditi con diplomazia e dispiegamenti di quelle moderne truppe mercenarie che sono i contingenti ONU. Nel mercato globale non esiste amor di patria, perché questa è il mondo. Ai popoli è lasciato solo un ménage spinto ai limiti della sopravvivenza. L’intelligenza speculativa è bandita in nome di una cultura specialistica, ipersettoriale, aderente ai consumi. La spiritualità è degradata ad ottusa superstizione, becero supermarket dell’anima. Questa visione, oggi in itinere avanzato, è quanto Cartagine avrebbe prospettato al mondo – ovviamente in forma arcaica – una volta sconfitta Roma. Il loro lungo confronto quasi assunse contorni metafisici.
Annibale vi emerge in una fase delicata, quando fortuna ed abilità si sono equamente divise tra i contendenti. Egli non rompe – come si è tentati pensare – la mentalità propria della sua gente, ma la sublima. Nato in Spagna, versato nella guerra – caso raro per la sua stirpe che, come detto, s’interessava più che altro di traffici – acuto, carismatico, imprevedibile, Annibale è naturaliter un dittatore; come Alessandro e Napoleone è da collocare tra i più originali e brillanti grandi condottieri. Annibale fu dunque uno degli uomini più importanti tra quelli che dettero origine ad un governo personale, in opposizione al potere di un’Assemblea o di un Senato. Le sue doti di condottiero dì uomini sono passate alla storia. L’influenza che egli esercitò sulle generazioni posteriori può essere paragonata a quella di Alessandro, da cui pur si differenzia.
Le idee trasmesse da Annibale sono idee di metodologia e di azione individuali. Egli ha insegnato al mondo le modalità di agire per guidare grandi masse di uomini, per nulla limitate dalle contingenze di tempo o di luogo, ma universali ed eterne quanto l’uomo stesso; ciò grazie ad una personalità versata ad agire sulle speranze, i timori, le virtù, le debolezze e i difetti degli uomini. Se volessimo risalire alla sorgente dei concetti moderni sul comando, potremmo dimostrare che i più corretti e i più creativi provengono tuttora da lui. Cartagine non lo amava, ma su di lui, sulla sua potenza quasi interamente fondata sull’influenza personale che egli riusciva ad esercitare su altri uomini, riponeva le speranze di vittoria. Condotto ai nostri giorni, somiglia – per spregiudicatezza, rapidità e vastità d’azione, ascendente sui fedelissimi, indifferenza all’autorità - ad un Soros, il finanziere di punta del liberismo anarcoide.
Conosciamo l’esito del formidabile urto tra le due antiche potenze. Da una parte, come detto, un potere derivante appunto dal genio personale di un condottiero, che esercita il suo carisma di autorità assoluta, non dipendente, se non in minima parte, da qualche forma costruita dì governo e dall’altra una forza derivante da una stretta associazione di uomini riuniti in una società dalla forte ossatura politica. Meno note sono le cause del successo finale di Roma, che il nuovo libro edito da EFFEDIEFFE analizza.
Sarebbe riduttivo credere, come ancora pensano tanti storici vittime dell’oscurantismo marxista e di quello – speculare – liberale, che la sola economia sia generatrice di guerre. Sì tratta di un pensiero tipico di queste ideologie, ove anche l’ordine giuridico e civile è monetizzabile.
Roma vinse, invece, in ragione del suo sistema istituzionale: lungi dall’affidarsi al talento contingente di un solo uomo e a smisurate ricchezze, potè contrapporre a Cartagine il potere di Assemblea e Senato e la dedizione dei suoi cittadini-legionari.
A Roma vigeva un ordine atto ad espandersi, a civilizzare popoli diversi e a renderli partecipi di obiettivi comuni, superiori alla mera egemonia mercantile. Per questo, quando fu sentenziato che Cartagine era stata distrutta non tirarono un sospiro di sollievo solo gli abitanti dì una (ancora per poco) modesta città sul Tevere.
Maurizio Blondet
tratto da www.effedieffe.com
giovedì 10 febbraio 2011
sabato 29 gennaio 2011
Dal nord Africa alle nordafricane
Le cariatidi e i "giusti" della democrazia stanno già stracciandosi le vesti, condannando i comportamenti privati del premier Berlusconi, e come un possente coro di grilli, si leva dal paese intero (bah.....intero???) una vibrante indignazione. E' questo un sentimento insopportabile, dal quale sono fortunatamente immune, che presuppone una smisurata ipervalutazione di sé stessi e delle proprie convinzioni morali, tale da considerare la propria morale superiore e tentare di universalizzarla sottoponendo a severo giudizio tutti gli altri. In questi casi credo sia giusto invocare la "amoralità", l'assenza cioè di convinzioni radicate ed indiscutibili per lasciare il posto alle valutazioni contingenti e soprattutto alla totale insidacabilità dei comportamenti sessuali. La cosa si fa ancora più pressante se si considerano le vicende internazionali di questi giorni, viene da chiedersi: è possibile preoccuparsi di una puttana marocchina mentre in Tunisia, praticamente sull'uscio di casa nostra, si realizza una rivoluzione dagli esiti imprevedibili? Non può questo governo abdicare del tutto al ruolo italiano nel mediterraneo per correre dietro alle manie libidinose senili del presidente del consiglio, ma ancor meno è accettabile che tutto il paese, opposizioni in testa, disquisisca appassionatamente di culi e di festini disinteressandosi di eventi determinanti per il suo futuro, c'è anche la parte profonda della nazione, quella che in altri tempi si sarebbe chiamata "maggioranza silenziosa", che, con sovrana saggezza, se ne fotte, dimostrando quanto ne avesse compreso realmente l'anima il troppo presto dimenticato Guglielmo Giannini. Che in questi giorni si stia parlando principalmente di Ruby è gravissimo, è gravissimo che l'Italia sia rimasta sostanzialmente indifferente al rovesciamento di Zine Ben Ali, che aveva ottenuto il potere grazie alla lungimirante politica estera di Bettino Craxi, che era stato in grado, tramite l'Ammiraglio Martini, di guidare la normalizzazione del post-Bourghiba assicurando all'Italia un governo amico in un'area geografica di importanza vitale per il nostro paese. Ora che Ben Ali ha lasciato la Tunisia, come si è mossa l'Italia?? Si è mossa, soprattutto?? In che modo il ministro Frattini si è preoccupato di garantire gli ingenti interessi italiani nel paese nordafricano? Siamo o no in grado di avere voce in capitolo nello sviluppo delle vicende tunisine, o paesi come la Francia e gli Stati Uniti ci hanno preceduti, assicurandosi un controllo sulla transizione? A tutti questi interrogativi non vi è risposta, perchè tutti sono invece ansiosi di conoscere quali peccaminosi conviti organizzi il Presidente del Consiglio, tutti sono curiosi di scoprire le doti della nordafricana Ruby. Intanto rischia di erodersi ancora di più lo spazio di manovra nell'area mediterranea per il nostro paese senza che il problema sia compreso nella sua complessità e nelle conseguenze che questi eventi avranno a breve e lungo termine.
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